Anzola dell'Emilia nell'Italia unita
Terminata la fase turbolenta dei decreti e dei blebisciti la conquista dell'unità nazionale non portò ad Anzola novità significative, nè dal punto di vista della gestione del potere nè per ciò che concerneva i rapporti di produzione e lo sviluppo economico.Il gruppo dirigente era sostanzialmente identico a quello che aveva governato il Comune durante il periodo pontificio, costituito dai grossi proprietari terrieri e dai ricchi commercianti, mentre sul fronte opposto,alle prese con il problema di sbarcare il lunario, i coloni a mezzadria, i braccianti, gli artigiani, qualche bottegaio. Anche per costoro nulla era cambiato, anzi il tenore di vita era peggiorato a causa della forte pressione fiscale che i governi della Destra Storica prima, e per certo numero di anni anche della Sinistra, furono costretti ad attuare per fronteggiare le spese necessarie alla costruzione dello stato unitario.
Il paese lungo la via Emilia continuava a reggersi sull'agricoltura e a modellare la propria vita a seconda delle fasi del lavoro nei campi: l'estate densa di fatica e l'inverno raggelato dallo spettro della disoccupazione sempre incombente.
Unico svago il vino e l'osteria.
L'avvenuta unificazione non aveva nemmeno coinciso, ad Anzola dell'Emilia come nel resto dell'Italia, con una generale pacificazione. Più che i contrasti di natura politica, che matureranno in seguito, il Comune visse in modo singolare lo scontro fra Stato e Chiesa, che caratterizzò per un lungo periodo la storia dello stato unitario.
La Chiesa difatti, privata del potere temporale, non riconobbe la legittimità dello Stato italiano e prese ad attuare attraverso i parroci una serie di comportamenti dichiaratamente ostili ai rappresentanti del nuovo governo, che reagì, a sua volta, minacciando di incamerare i beni ecclesiastici e sottoponendo alla propria approvazione la nomina dei parroci stessi.
La situazione non migliorò dopo l'annessione di Roma al Regno d'Italia poichè Pio IX, non contento delle prerogative che gli venivano riconosciute per legge, vietò ai cattolici la partecipazione al voto e sconsigliò loro la vita politica, creando i presupposti per una difficile collocazione di questi nei giochi di potere.
L'atteggiamento intransigente del clero ebbe il suo rappresentante perfetto ad Anzola dell'Emilia nella figura del parroco, don Lorenzo Landi, che dopo aver esercitato un ruolo attivo in consiglio comunale come membro di diritto sotto il governo pontificio, facendosi spesso portavoce delle istanze dei ceti più umili, si trovava ora, almeno formalmente,esautorato.
La sua reazione si manifestò con un atteggiamento duplice: non osteggiò difatti apertamente l'attività dei cattolici in consiglio, evitando di calcare i toni sul divieto pontificio, ma si diede a sferrare una serie di colpi bassi, nell'esercizio del suo ministero ecclesiastico, ad alcuni rappresentanti del fronte più schiettamente laico e liberale, ai quali si minacciava l'esclusione dai sacramenti. Un comportamento similare tennero anche i parroci delle frazioni.
La situazione di tensione venutasi a creare, che spaccò in due la popolazione di Anzola e gettò il seme del diffuso anticlericalismo degli anni a venire, si attenuò solamente a partite dal 1878 con la morte del Landi; da allora la borghesia anzolese governò con unità di intenti e di interessi il Comune fino al 1905, costituendo un gruppo compatto di fronte all'incerto emergere di nuove forze politiche.
Il 1878 fu un anno importante anche nel resto d'Italia: scomparvero, a distanza di poche settimane l'uno dall'altro, Vittorio Emanuele II e Pio IX e nel giro di pochi anni moriva anche Garibaldi.Si allontanava dunque l'epoca delle lotte risorgimentali e veniva inaugurata una nuova fase in cui la Sinistra al governo, superata la necessità del consolidamento dello stato unitario, si trovava ad affrontare nuove emergenze: prime fra tutte la questione sociale e l'avanzare delle forze progressiste nel quadro politico.
Non mancarono momenti in cui si vollero risolvere in senso autoritario le tensioni politiche e sociali, ma la tendenza alla lunga prevalente portò alla conquista di maggiori lebertà e diritti e all'affermazione dei movimenti progressisti. Il nuovo re Umberto I, che non seppe comprendere la forza dei nuovi fermenti e si fece sostenitore di una politica repressiva, cadde vittima di un attentato. Con il suo successore, Vittorio Emanule III, venne attuata una fase distensiva e di apertuta verso i gruppi e i movimenti considerati precedentementi nemici dello stato, grazie soprattutto all'opera di governo di Giolitti, che agevolò le forze operanti per un ammodernamento della società, tentò di correggere gli squilibri sociali,attuò una decisa opera riformatrice. All'inizio del nuovo secolo l'Italia potè anche assistere al decollo del processo di industrializzazione intrapreso negli anni precedenti, ma sia questo intenso sviluppo economico sia gli ulteriori mutamenti nel quadro politico, in cui acquistavano un peso sempre maggiore i socialisti, i nazionalisti e i cattolici, vennero travolti dal rapido degenerare della situazione internazionale e dallo scoppio del primo conflitto mondiale.
La ferrovia
Proprio negli anni che videro realizzarsi l'unità nazionale arrivò ad Anzola dell'Emilia il nuovo, rivoluzionario mezzo di trasporto: il treno. La prima linea ferroviaria ad attraversare il territorio comunale fu la Bologna-Piacenza, inaugurata nel 1859 dal Governo provvisorio delle Romagne.
Accolta inizialmente con diffidenza da parte della popolazione locale, in particolar modo dai contadini e dai birocciai infastiditi dalle difficoltà che avevano i carri a oltrepassare i binari fra gli spazi troppo esigui del "cancelli a stanghe", la ferrovia divenne oggetto della dovuta considerazione solo quando ci si accorse delle enormi possibilità di sviluppo per i traffici e il commercio che il nuovo mezzo di locomozione offriva, anche nelle zone di campagna.
Molti cittadini anzolesi si mobilitarono allora per ottenere l'impianto di una fermata del treno nel capoluogo comunale.La fermata non era stata realizzata al momento della costruzione della ferrovia poichè in questo tratto si era reso necessario sopraelevare i binari rispetto al piano stradale e farli scorrere su di un terrapieno, per colmare il dislivello di terreno esistente tra Lavino e Anzola. C'erano dunque due fermate dei treni, una a Lavino, l'altra a Ponte Samoggia, ma non c'era la fermata nel borgo capoluogo. Dopo tante insistenze gli anzolesi ottennero nel 1862 la tanto sospirata fermata, che di lì a pochi anni venne soppressa per antieconomicità del servizio e scarso movimento di passeggeri.
Da allora fu un continuo inoltare richieste di ripristino da parte dei sindaci di Anzola dell'Emilia alle società proprietarie delle linee ferroviarie, le Ferrovie dell'Italia Centrale dapprima e in seguito la Società delle Ferrovie dell'Alta Italia, senza ottenere esito alcuno.
Soltanto nel 1905, per effetto della nazionalizzazione delle ferrovie e grazie anche all'interessamento presso il Ministero dei lavori pubblici del deputato parlamentare eletto nel collegio di San Giovanni in Persiceto, Giacomo Ferri, la fermata fu riattivata. In questo stesso periodo furono conclusi anche i lavori dell'altro tratto ferroviario che attraversa il territorio comunale nella zona di San Giacomo del Martignone: la linea Bologna-Verona.
Il progresso tecnologico
Il treno fu certo il simbolo più rappresentativo dello sviluppo tecnologico e industriale raggiunto nell'ottocento, oggetto insieme affascinante e inquietante per la velocità quasi incredibile che riusciva arealizzare; ma in questo stesso periodo altre straordinarie invenzioni resero enormemente più veloci anche le comunicazioni e la diffusione delle notizie.In primo luogo il telegrafo.
Ad Anzola dell'Emilia l'impianto di un ufficio telegrafico risale al 1894.Il Ministero delle poste e dei telegrafi con circolare del 20 luglio comunicava "...i Comuni attraversati da una linea telegrafica governativa a distanza non maggiore di un chilometro dall'abitato possono ottenere l'impianto di un uffizio telegrafico mediante il pagamento, una volta tanto, di un contributo fisso di £ 150." anzola era in possesso di tali requisiti in quanto attraversata dalla linea telegrafica che collegava Bologna a Modena e così gli amministratori comunali non si lasciarono sfuggire l'occasione di attivare un telegrafo nel locale ufficio postale.
Una decina d'anni dopo fu la volta del telefono. Questa volta l'iter fu più difficoltoso perchè i costi erano elevati. Nel 1906 furono intavolate trattative per istituire una linea telefonica di collegamento fra Bologna, Persiceto e i comuni limitrofi, tra i quali Anzola. Successivamente si optò per l'estensione della linea telefonica urbana di Bologna ad Anzola dell'Emilia.
Il collegamento telefonico fu realizzato nel 1909, dietro pagamento di £ 1652. Per un certo periodo l'unico utente collegato al centralino fu il Comune stesso; difatti i costi di abbonamento annuo erano elevati e anche i pochi anzolesi in grado di sostenerli rimasero a lungo tutubanti. La nuova invenzione tardò quindi ad affermarsi e divenne di pubblico dominio solo molti anni dopo, a partire dal secondo dopoguerra.
Rimasero per lungo tempo solamente un oggetto da ammirare anche le automobili, possedute per lo più dai grandi proprietari terrieri che le usavano per visitare i propri possedimenti e da pochi altri nobili o ricchi borghesi che transitavano lungo la via Emilia.
Suscitoò quindi un enorme euforia nel 1908 il passaggio per Anzola delle corse automobilistiche Coppa Florio e Targa Bologna, organizzate dall'Automobile Club di Bologna e dal Touring Club Italiano.
Il Comune fu coinvolto attivamente nei lavori di sistemazione del percorso e nel servizio di sorveglianza e mise a disposizione alcuni operai e cantonieri, nonchè un certo numero di "ciclisti" per le staffette di informatori. Le corse si svolsero con grande successo il 6 e 7 settembre. A tutti coloro che avevano collaborato fu consegnata una medaglia ricordo e al Comune di Anzola dell'Emilia una targa d'argento, quale attestato di viva riconoscenza da parte dell'automobile Club.
L'emigrazione
Lo sviluppo di nuove tecnologie si estese anche all'agricoltura, sebbene con maggior lentezza e non in modo uniforme in tutta la penisola; venne comunque avviata in molte zone la meccanizzazione del lavoro agricolo.
La prima testimonianza della comparsa delle macchine a vapore nelle campagne di Anzola dell'Emilia risale al 1885, quando il consiglio comunale nominò una commissione incaricata di regolamentare la nuova forza motrice. L'introduzione delle macchine ebbe effetti contraddittori poiché se migliorava le condizione di lavoro e la produttività, faceva d'altro canto diminuire la richiesta di mano d 'opera bracciantile. Costituiva inoltre un aggravio di spesa per i contadini poiché, almeno fino a quando non riuscirono ad attuare forme di cooperazione per l'acquisto e l'uso delle macchine agricole, furono costretti ad affittarle dai grossi proprietari, unici a potersele permettere.
Questa situazione, unita a una generale crisi agraria che colpì l'Italia nell'ultimo ventennio dell'ottocento, creò gravi disagi per tutte le categorie agricole e fece ingrossare le fila di coloro che videro nell'emigrazione l'unica soluzione agli innumerevoli problemi. Il fenomeno migratorio, imponente nel Mezzogiorno, si verificò anche in alcune zone del nord Italia.
Ad Anzola dell'Emilia numerosi furono i lavoratori delle campagne che tentarono la sorte e inoltrarono richieste di nulla osta all'ottenimento del passaporto per l'estero. Erano diretti sia negli altri paesi dell'Europa sia verso le Americhe. L'ondata migratoria non mancò di attirare le mire di speculatori di vario genere. Si moltiplicarono così le lettere di avvertimento e i moniti inviati dal Regio Commissariato dell'emigrazione al sindaco perché mettesse in guardia gli emigranti contro i profittatori e contro i pericoli più disparati cui andavano incontro.
Nel 1902, proprio per evitare che i nostri emigranti divenissero "vittima di delusione e di inganni", fu costituito ad Anzola dell'Emilia un Comitato Comunale per l'emigrazione i cui compiti, stabiliti da una legge emanata l'anno prima, erano di istruire chi espatriava sulle formalità da compiere per il passaporto e sulle condizioni del paese di destinazione, dissuadere quanti fossero diretti in paesi in cui "facesse difetto la richiesta di mano d'opera" e diffondere tutte le informazioni relative alla modalità, al prezzo e alla durata del viaggio. Il flusso migratorio si attenuò solo nel periodo immediatamente antecedente la prima guerra mondiale, ma nel momento di maggiore intensità ad Anzola dell'Emilia si videro partire anche una cinquantina di individui all'anno.
Le lotte sociali
La necessità di dotare l'Italia di una adeguata rete di collegamenti, di creare un apparato amministrativo efficiente, di provvedere all'istruzione della popolazione nonché di armare l'esercito costrinse la Destra al governo nei primi anni di unità a procedere ad una serie di inasprimenti fiscali, volti soprattutto a colpire i consumi e gravanti quindi in modo particolare sulla povera gente. Il primo gennaio 1869 entrò in vigore una nuova imposta, nota come "tassa sul macinato", oltremodo odiosa, che doveva essere pagata ai mugnai all'atto del ritiro della farina. Questa ulteriore imposizione provocò la sollevazione dei ceti popolari in tutto il paese. Anche Anzola dell'Emilia fu investita dalla protesta: l'8 gennaio centinaia di persone accorsero a manifestare davanti al Municipio e sebbene non si resero colpevoli di devastazioni efferate, causarono comunque gravi disordini. Vittime incolpevoli delle violenze furono i mugnai, obbligati a divenire loro malgrado esattori delle imposte. Il mugnaio di Lavino si rifiutà categoricamente, l'anno successivo, di prestarsi al servizio "aggiuntivo" di esattore, che era pericoloso oltre che detestabile, e decise di chiudere il mulino. Il sindaco scrisse dunque al prefetto comunicando che, qualora si fosse desiderato tenere aperto il mulino e riscuotere la tassa, si sarebbe reso necessario incaricare un "agente governativo di finanza assistito dalla forza pubblica in numero competente".
Le agitazioni causate dalla tassa sul macinato, abolita nel 1884, costituirono la prima manifestazione generalizzata di dissenso contro la politica economica e finanziaria del nuovo stato, e furono duramente represse. Si trattava comunque di agitazioni spontanee. Con il passare degli anni però il malessere sociale si allargava e diveniva terreno favorevole alla diffusione delle nuove idee degli internazionalisti, degli anarchici, e infine, in modo preponderante, dei socialisti. In stretto rapporto con il consolidarsi dei movimenti e partiti politici di opposizione crebbe anche la capacità organizzativa del proletariato, sia industriale che agricolo. Dalle prime società di mutuo soccorso, che avevano come fine la solidarietà e ricusavano la lotta di classe, si giunse alla formazione delle federazioni di mestiere, a carattere nazionale, e delle Camere del lavoro, a base locale, destinate a riscuotere maggior successo. In Emilia e in tutta la valle padana sorsero numerosissime le cooperative e le leghe, associazioni sindacali di categoria che raggrupparono braccianti, contadini e pressocché ogni genere di lavoratori.
La lotta sociale divenne lotta di classe e il suo strumento preferito fu lo sciopero.
Le leghe cominciarono a costituirsi ad Anzola dell'Emilia di partire dai primi anni del novecento. La prima fu la Lega di miglioramento fra i lavoratori della terra, che ebbe come segretario Augusto Pedrini, uomo attivissimo nell'organizzazione del movimento sindacale anzolese, di cui può essere considerato il leader; seguirono la Lega per il miglioramento femminile e quella fra gli artigiani. Subito dopo anche i coloni si organizzarono in lega.
Il primo sciopero di cui si ha notizia risale al 1902. In quell'occasione furono i muratori a incrociare le braccia; ma i protagonisti assoluti delle battaglie sindacali più aspre svoltesi ad Anzola dell'Emilia negli anni seguenti furono i braccianti e i coloni.
Nel periodo compreso tra il 1904 e lo scoppio della prima guerra mondiale, con una serie di scioperi memorabili che si protrassero anche per giorni e giorni, i lavoratori agricoli riuscirono a strappare importanti conquiste ai proprietari terrieri.
Nel 1904 i braccianti firmarono un accordo con gli agrari che migliorava notevolmente le condizioni di lavoro, riducendo l'orario giornaliero a 10 ore e la tariffa oraria a 20 centesimi.
Il 18 luglio 1907 i rappresentanti dei coloni e i proprietari concordarono un patto per regolare in modo più equo i rapporti di mezzadria; il patto ebbe valenza intercomunale. Nel maggio di quello stesso anno si svolse un'altra dura lotta sindacale: il "boicottaggio" nelle tenute appartenenti al conte Garagnani, alla cui organizzazione collaboravano tutte le leghe attive nelle località interessate. Fra i motivi di contrasto c'era l'uso della macchina "decanapulatrice", che aveva determinato mancate assunzioni di lavoratori. L'utilizzo delle macchine a vapore nei lavori agricoli fu al centro anche di scioperi successivi. Si trattò questa volta delle trebbiatrici e della libertà di usare quelle offerte dalla locale Cooperativa agricola a condizioni più vantaggiose, piuttosto che quelle in mano ai proprietari. La tensione raggiunse il culmine fra il 1909 e il 1910, quando si inserirono nella lotta sindacale anche le cosiddette "leghe gialle", vale a dire leghe autonome, che in realtà spesso appoggiavano i proprietari terrieri o erano da questi strumentalizzate per fomentare disordini e indebolire le altre leghe già esistenti, chiamate "leghe rosse". A movimentare ulteriormente il quadro contribuì infine la Fratellanza Colonica, associazione sindacale di ispirazione cattolica, che fu l'unica organizzazione in grado di rubare terreno alla Lega di coloni "rossa". La Fratellanza Colonica assunse in breve tempo anche un peso politico, infrangendo il monopolio del governo locale conquistato dai socialisti e riuscendo nel 1914 a portare in consiglio comunale quattro suoi rappresentanti.
I socialisti al governo del Comune
Sempre molto coinvolta nelle problematiche relative all'organizzazione sindacale dei lavoratori fu l'attività dei socialisti ad Anzola dell'Emilia. Nei primi anni del Novecento si costituì la sezione locale del partito socialista, intitolata a Carlo Max, che prese a svolgere un'intensa propaganda politica in previsione dei futuri appuntamenti elettorali, tenendo una serie impressionante di comizi non solo nel capoluogo ma anche nelle popolose frazioni, dove non erano mancanti, negli anni precedenti, segnali di una predisposizione favorevole alle nuove idee.
Dopo aver fallito la prova alle elezioni politiche del 1900, i primi frutti di questo assiduo lavoro si videro nel 1902 con risultati del voto amministrativo. Fu allora che per la prima volta entrarono in consiglio comunale ad Anzola dell'Emilia cinque rappresentanti socialisti. La condotta prudente dei nuovi consiglieri, che evitarono di bruciarsi in giochi politici cui non erano avvezzi, venne controbilanciata sul fronte sindacale da una decisa azione di lotta. La strategia si rivelò alla fine vincente.
Rafforzati dall'esito delle politiche del 1904, quando prevalse nel collegio locale il candidato socialista Giacomo Ferri,in controtendenza ai risultati nazionali, i socialisti anzolesi si prepararono a sferrare la stoccata finale. Nel luglio 1905, alle elezioni per il rinnovo parziale del consiglio comunale, ottennero una maggioranza di undici consiglieri contro nove del partito avverso. La rinuncia alla carica di un consigliere socialista, tuttavia, ridusse il vantaggio.
Questo evento, unito alla dura opposizione della minoranza che si rifiutava anche solo di discutere il programma di riforme dei vincitori, creò una situazione di ingovernabilità tale che per ben due sedute consecutive non si potè procedere all'elezione del sindaco e della giunta.
Il prefetto, preso atto della situazione insanabile, sciolse il consiglio e convocò nuove elezioni amministrative per il 22 ottobre dello stesso anno.
Fu allora che i socialisti conquistarono la vittoria decisiva: con una maggioranza di quattordici consiglieri su venti riuscirono ad amministrare il Comune per un lungo periodo anche in assenza degli avversari, che per quasi due anni non vollero intervenire alle sedute consiliari. Il 3 dicembre 1905 il nuovo consiglio provvide ad eleggere il sindaco: si trattava di Giovanni Goldoni, di 35 anni, colono, socialista.
Il movimento cooperativo
Contemporaneamente al sorgere delle prime leghe di lavoratori prendeva corpo ad Anzola dell'Emilia anche l'idea di costituire una cooperativa di consumo, che, ponendosi in alternativa al commercio tradizionale in mano ai privati, venisse incontro alle esigenze del proletariato svolgendo un'azione di calmierazione dei prezzi dei generi di prima necessità.
Ancora una volta tra i promotori dell'iniziativa è Augusto Pedrini che nel dicembre 1903 inviò al sindaco richiesta scritta per la consessione di un locale in cui tenere l'assemblea organizzativa della cooperativa. Ottenuto il permesso, superato lo scoglio dei finanziamenti e composto lo statuto rimaneva da risolvere il problema della sede. Poichè nel dibattere questi problemi si era giunti all'anno 1906, si potè contare sull'appoggio indiscusso del Comune, dove i socialisti avevano conquistato la maggioranza. Furono concessi tre ambienti al pianterreno del palazzo municipale, da adattare a "bottega", "magazzeno" ed "esercizio vino", efinalmente in dicembre di quello stesso anno la Cooperativa di consumo "Sempre avanti" potè essere registrata in Tribunale.
Primo presidente fu il sindaco, Giovanni Goldoni; successivamente la carica passò a Pietro Tibaldi e fu questi ad annunciare ai soci riuniti in assemblea i nuovi fermenti che stavano già prendendo corpo. Le leghe di miglioramento, difatti, andavano da tempo denunciando le grandi difficoltà che incontravano per trovare spazi adatti alle loro riunioni: il sindaco era stato diffidato dal concedere le aule scolastiche e le leghe avevano iniziato a radunarsi in una loggia della locanda Zini. Trattandosi di edificio pubblico le riunioni dovevano essere presenziate da un rappresentante dell'Erma dei Carabinieri, e ciò pregiuducava in qualche modo la libertà di espressione e di iniziativa.
Frattanto anche la Cooperativa "Sempre Avanti" veniva svolgendo con disagio le proprie attività a causa dell'angustia dei locali a disposizione. Prese così forza l'idea, da alcuni sostenuta da tempo ma considerata quasi utopistica, dell'edificazione di una Casa del Popolo, che offrisse spazi adeguati alle diverse esigenze.
Il sogno divenne realtà, oltre che per lo sforzo economico dei soci, grazie all'intervento decisivo del Comune, che nel novembre 1909 deliberò la vendita alla cooperativa di un terreno adatto alla costruzione.
I lavori, iniziarono subito dopo, furono portati a termine nel giro di un anno, mentre nel giugno 1910 si costituiva la Società anonima cooperativa per la costruzione e l'esercizio della Casa del Popolo, con presidente Augusto Pedrini. Nell'autunno avvenne l'inaugurazione,una festa grandiosa, un corteo, conferenze, banchetto, lotteria, ballo di beneficenza e il paese illuminato a luce elettrica.
Nella Casa del Popolo trovarono posto la Cooperativa di consumo, la Cooperativa agricola, gli uffici delle leghe, la sala riunioni, il deposito delle macchine agricole ed inoltre: un teatro, una biblioteca, il caffè e le rivendite di generi alimentari.
Le opere di pubblica utilità
Dalle vicende che portarono alla costruzione della casa del popolo, cui parteciparono tutte le associazioni attive nel Comune, oltre al Comune stesso, si comprende come allora non si facessero troppe distinzioni tra coscienza sindacale e coscienza politica: leghe, cooperative e socialismo erano tutt'uno. ad Anzola dell'emilia tanto quanto nel resto delle campagne bolognesi. Questa forte identità di interessi favorì molto anche la realizzazione di importanti opere pubbliche.
I ponti
Sui torrenti che solcano il territorio comunale, il Lavino, il samoggia, il Martignone e la Ghironda erano collocate numerose passerelle pedonali, o "palancole", e si ergevano diversi ponti per il transito dei cari e, in un secondo momento, delle automobili. I ponti necessitavano di continui adattamenti e riparazioni.
Nel 1892 si deliberò circa la ricostruzione in mattoni del vecchio ponte in legno sul torrente Samoggia in località Budrie, al passo detto "della Caprara", che vide il concorso nella spesa dei Comuni di Anzola dell'Emilia e San Giovanni in Persiceto, dell'Azienda Idraulica e del Governo.
Di competenza statale furono i lavori, compiuti nei primi del Novecento, per rinnovare il ponte della via Emilia sul Lavino, nell'omonima frazione, mediante l'aggiunta di due vistosi fori nelle spalle e l'allargamento dei percorsi pedonali.
Il ponte a Samoggia, sempre lungo la via Emilia, fu fortificato nel 1906,poichè risultava pericolante l'arcata mediana.
La fiera delle merci e del bestiame
La fiera delle merci e bestiame si svolgeva in questo periodo due volte all'anno, in giugno e in settembre e costituiva un avvenimento di importanza notevole dal punto di vista socio-economico per Anzola dell'emilia e per le campagne circostanti.Un problema ricorrente per l'amministrazione comunale fu tuttavia la ricerca di un terreno affettivamente adatto al "foro boario".
Difatti mentre i banchi delle merci trovavano spazio sotto i portici della locanda e del minicipio, nel cortile municipale e lungo la via che portava alla chiesa, la fiera del bestiame rimaneva circiscritta nello spazio troppo esiguo del prato costeggiante l'antica via Fiera, oggi denominata via Fratelli Ferrari. Una soluzione di compromesso fu individuata nel 1897 con la decisione di affittare un appezzamento di terreno di proprietà Serrazanetti, posto accanto alla regia Caserma dei Carabinieri.
il contratto aveva durata decennale ma alla scadenza dovette essere rinnovato per qualche tempo, finchè, nell'autunno del 1909, si riuscì finalmente ad acquistare l'agognato terreno appartenente alla famiglia Pedrazzi, situato in posizione centrale nel capoluogo e molto vasto. Terminati i lavori di adattamento, che si protrassero più del previsto, il nuovo mercato del bestiame potè essere inaugurato il 16 aprile 1914.
Le case operaie
Il terreno Pedrazzi non servì solo al mercato del bestiame: dopo l'acquisto il Comune ne cedette subito una parte alla cooperativa "Sempre Avanti" perchè vi edificasse la Casa del Popolo; un'altra parte ancora fu destinata alla costruzione delle case operaie. La decisione di costruire questi edifici era maturata in consguenza di alcuni eventi che avevano sconvolto profondamente la vita del paese. Nel novembre 1906 cinque famiglie di operai agricoli erano state sfrattate dai proprietari per motivi politici, essendo i capofamiglia noti esponenti del partito socialista locale. Il fatto aveva scatenato una vera e propria sommossa popolare, che non si riusciva a placare. Mentre si trovavano delle sistemazioni provvisorie per gli sfrattati, il sindaco e alcuni dirigenti leghisti organizzarono un pubblico comizio e decisero di coinvolgere nella questione anche il deputato Giacomo Ferri.Di fronte alla folla radunata in piazza il sindaco Goldoni e l'onorevole Ferri proclamarono che se gli operai venivano sfrattati per rappresaglia politica il Comune stesso si sarebbe impegnato a costruire delle case popolari a sue spese. Il progetto si scontrò con una forte opposizione da più parti e con la difficoltà di ottenere l'approvazione delle autorità superiori. Il punto di forza di chi osteggiava la costruzione era che il Comune non poteva accollarsi delle spese per fornire strutture ad una sola parte della cittadinanza invece che a tutta la comunità. Fu necessario indire un referendum, che, con una schiacciante preponderanza di voti favorevoli, permise alla fine di varare il progetto. Le case operaie poterono essere costruite e furono ultimate entro l'anno 1911.
Le scuole nelle frazioni
Sempre nel periodo in cui il Comune di Anzola del'Emilia veniva amministrato dalla maggioranza socialista fu avviato un imponente programma di edilizia scolastica, finalizzato alla realizzazione di nuovi edifici sia nel capoluogo sia nelle frazioni.
Dovendosi procedere per gradi, si decise di intraprendere in primo luogo la costruzione delle scuole nelle frazioni di Santa Maria in Strada e di San Giacomo del Martignone, dove le strutture allora utilizzate erano pressochè fatiscenti e non più in grado di accogliere la popolazione scolastica, nel frattempo accresciutasi.
L'idea che il riscatto della classe operaia iniziasse proprio con l'istruzione scolastica stava circolando anche nelle campagne anzolesi. Nell'intento di favorire questo processo, l'edificazione delle scuole ebbe tempi molto rapidi: difatti i lavori, deliberati nel 1909, terminarono all'incirca tre anni dopo.
La grande guerra
L'inizio del secondo conflitto mondiale provocò, ancora prima che l'Italia entrasse in guerra, una grave crisi alimentare. Il Comune di Anzola dell'Emilia già nel novembre del 1914 tentò di "premunirsi contro le eventualtà in avvenire, ed esercitare una benefica azione di calmiere" deliberando di acquistare dal Comune di Bologna, che si era benevolmente offerto, 200 quintali di farina di prima scelta in partite settimanali, ad un prezzo molto basso. Il problema della vendita al pubblico della farina venne risolto con l'aiuto della Cooperativa di consumo "Sempre Avanti". che si incaricò anche del trasporto da Bologna, richiedendo per questo servizio e per le spese di esercizio solo un minimo rimborso. Da questo momento in poi l'attività degli amministratori comunali sarà in gran parte indirizzata a gestire nel miglior modo possibile la carenza di generi di prima necessità e a combattere i fenomeni speculativi.
Dopo l'ingresso dell'Italia nel conflitto l'emergenza alimentare si aggravò per la necessità di provvedere ai rifornimenti dell'esercito tramite requisizioni periodiche dei generi.
E, come tutti temevano, gli uomini validi cominciarono ad essere richiamati alla armi in numero sempre maggiore. La miseria, precedentemente causata dalla disoccupazione, era adesso determinata dall'impossibilità per le famiglie dei richiamati di procurarsi un reddito. Il Comune volle pertanto aggiungere il suo contributo a quanto operva il governo in materia di sussidi alle famiglie dei militari e il 13 giugno 1915 stanziò un fondo di lire 1158,40, affidandolo al Comitato cittadino anzolese pro famiglie dei militari richiamati alle armi, appena costituito.
Successivamente si decise di contrarre un mutuo decennale di lire 10000, con il quale finanziare ulteriormente le attività del Comitato ed organizzare il funzionamento di asili infantili nel Comune.
L'attivazione degli asili era ritenuta estremamente vantaggiosa perchè in questo modo le donne, libere dalla preoccupazione dei figli, avrebbero potuto lavorare nei campi e sopperire alla carenza di mano d'opera maschile. Si riuscì tuttavia ad organizzare un asilo temporaneo solamente nei mesi estivi del 1916, in un aula scolastica del capoluogo. L'anno seguente, nonostante ci si fosse avviati per tempo per predisporre tutto il necessario, gli sforzi furono vanificati dal precipitare degli eventi bellici e di asilo non si parlò più per diversi anni. Il 1917 fu l'anno più difficile: la guerra assunse i colori della disfatta, il 24 ottobre, a Caporetto.
Cominciarono allora ad arivare sempre più numerosi i telegrammi e le comunicazioni drammatiche da parte delle autorità militari e della Crose Rossa Italiana, relative alla sorte degli anzolesi partiti in guerra. I lutti si moltiplicarono. Anche due consiglieri comunali trovarono la morte sui campi di battaglia; l'attività del consiglio comunale risultava comunque paralizzata, poiche sui venti consiglieri dieci erano stati richiamati alle armi.
L'Armistizio del 4 novembre 1918 pose fine all'immane tragedia.
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