L'ANNO 1860 E IL REFERENDUM PER L'ANNESSIONE AL REGNO DI SARDEGNA.
E'l'anno in cui si svolge il referendum che diciderà dell'annessione dei territori emiliano-romagnoli al regno di vittorio Emanuele II, evolvendo così in modo positivo una situazione di precarietà politica e istituzionale che mostrava già evidenti segni di cedimento, non essendo possibile protrarre ulteriormente il provvisorio governo delle Regie Province dell'Emilia senza dovere acuire la repressione sui molti scontenti del nuovo regime.
Il 30 novembre 1859 era stato varato il decreto che sopprimeva i Governi provvisori sorti al momento della cacciata dei Duchi di Parma e Modena e del Legato pontificio bolognese, creando un solo Governo centrale (con sede in Modena) con l'evidente intenzione di unificare le amministrazioni delle province padane ed avere un minimo di centralità operativa e di controllo. Dittatore di questi territori viene nominato Carlo Farini, con l'obbligo di decretare in nome di Re Vittorio Emanule.
Le difficoltà del Conte di Cavour a sbloccare il destino di queste province presso l'Imperatore Napoleone III, che deve rispondere dei suoi atti alla influente componente cattolica del suo Governo, e il protrarsi di una incertezza che concede troppo spazio al clero emiliano e alla componente più conservatrice della nobiltà terriera, rendono oltremodo difficile il mantenimento del primitivo consenso rivoluzionario e la gestione di una provvisorietà che deve ricorrere sempre più alla repressione poliziesca per contenere le spinte radicali di coloro che dalla sollevazione risorgimentale si aspettavano ben più del solo cambio dei governanti.
La terra rimane nelle mani di chi la possedeva in precedenza e la distribuzione dellerisorse economiche prodotte dall'agricoltura rimane ripartita in modo diseguale ed ingiusto, creando una serie di malumori che vengono abilmente sfruttati da chi auspica un ritrono de regime precedente.
Non abbiamo elememti per illustrare come questi fatti incisero sulla vita comunitativa e sociale di Anzola, ma se pensiamo che la comunità era fortemente cattolica e la Chiesa era ancora il principale centro sociale del paese, non sbagliamo di molto se presumiamo che i concittadini del tempo prestassero più orecchie a ciò che dicevano i parroci locali piuttosto che ai proclami unitari risorgimentali di Vittorio Emanule II. Inoltre, concedetemi di avvalorare questa nostra modesta opinione dicendo che la componente cattolica e conservatrice anzolese era talmente forte e radicata che ebbe la forza di condizionare il nuovo Consiglio Comunale fin dalla elezione della prima Giunta post-risorgimentale, imponendo ben due esponenti di famiglie di possidenti locali ampiamente compromesse con il passato regime in qualità di Assessori. Considerato, inoltre, che più di metà dei componenti del nuovo Consiglio Comunale avevano in passato amministrato il Comune in nome di Papa Pio IX, dando così la concreta dimostrazione che al cambiamento delle insegne statali non aveva parimenti corrisposto una cambiamento della gestione del potere; la ristretta cerchia degli aventi diritto alvoto, e la ancora più ristretta cerchia di coloro che avevano requisisti per potere essere eletti amministratori comunali, aveva operato un abile cambiamento istituzionale senza cambiare coloro che avevano il compito di gestire il cambiamento stesso: con buona pace del risorgimento e della uguaglianza sociale.
Il 30 gennaio il Comune di Anzola pubblica l'avviso che invita gli elettori a recarsi alle urne la successiva domenica per la elezione dei Consigli Comunale Provinciale.
Questa consultazione elettorale si è resa necessaria perchè essendo cambiato, per la quarta volta in un solo anno, l'asstetto istituzionale provvisorio del territorio e delle ex Legazioni, occorre una votazione che legittimi chi governa la cosa pubblica in nome del nuovo Governo. E' un'inflazione elettorale che segue di pari passo la confusione di Governi, governanti e dittatori, rendendo sempre più problematico il mantenimento della chiarezza amministrativa e togliendo seriamente credibilità al nuovo corso politico delle cose.
La domenica 5 febbraio destinata alle elezione non è per tutti gli anzolesi una data importante, perchè per avere diritto di esprimre il voto riguardo alla scelta dei futuri amministratori locali occorre predisporre i seguenti requisiti:
- Essre maggiorenni di anni 21
- Avere un reddito minimo che porti ad una contribuzione annua di Lire 10 alle casse comunali.
- Essere dimoranti ad Anzola.
- Sapere leggere e scrivere
- essere di sesso maschile.
Dopo queste elezioni sono indette quelle relative alla nomina dei Depitati al Parlamento nazionale, dove però il requisito elencato al precedente numero 2 aumenta sensibilmente fino a quasi 40 lire di contribuzione annua.
L'incertezza istituzionale, nonchè il protrarsi di una situazione di provvisorietà governativa causata dalla mancata unificazione con il Regno di Sardegna, lasciavano aperte divisioni e rivalità che al contrario, occorreva superare rapidamente.
Testimonianza di questo stato di cose la troviamo nella lunga serie di denunce che vengono inoltrate al Priore di Anzola per lamentare provocazioni ed aggressioni di carattere politico da parte di cittadini di entrambi gli schieramenti:
quello legato al vecchio ordinamento pontificio e quello legato al nuovo ordinamento politico. Brindisi fatti nelle locali osterie a dispetto del Papa si accavallano a brindisi fatti alla faccia di Vittorio Emanuele e le contumelie si accavallano agli scontri pubblici e privati.
A rivalità familiari si sommano rivalità personali che l'incertezza dei tempi non riesce a contenere. La prima domenica di febbraio, giorno delle elezioni precedentemente descritte, la "querelle" raggiunge il suo culmine con una chiassata, condita da illazioni ed ingiurie da ambo le parti, proprio all'interno degli uffici comunali adibiti per l'occasione a seggio elettorale.
Tutto inizia quando un notissimo esponente del vecchio potere pontificio, molto legato a Don Landi e alla locale parrocchia, si reca a votare e risponde ad una provocazione proveninete da un esponente dell'altro "fronte" con ingiurie nei confronti dei nuovi amministratori e con critiche ferocissime al loro modo di amministrare la cosa pubblica.
Immediatamente si riaccende la polemica e a nulla valgono gli sforzi del segretario comunale e di alcuni presenti per fare rientrare l'improvvisa coda alle operazioni elettorali. Sedata la questione, si verbalizzano le denunce inoltrate dai contendenti e tutti quanti escono dagli uffici comunali con l'intenzione di recarsi all'osteria. Purtroppo, l'osteria più vicina è quella della Locanda ed è inevitabile che al suo interno si riaccenda la zuffa sedata: alle nuove provocazioni si risponde con altre ingiurie e tutto finisce con una rissa generale sotto i portici dell'osteria, fino a quando interviene la Guardia Nazionale a sedare, una volta per tutte, la questione.
Dell'episodio riportiamo due verbali di denunce, i più significativi, fatti da esponenti delle diverse tendenze politiche:
Il primo è del 7 febbraio ed è inoltrato dalla parte lesa Pier Giacomo Pedrazzi di tendenza filo-pontificia. Il secondo è del 10 febbraio, redatto dal priore Astorre Arnoaldi Veli, un esponente politico risorgimentale.
Il primo:
"Ill.mo Signor Priore,
Domenica 5 corrente alle 4 pomeridiane -circa- mi recai nella Locanda di questo Capo-Luogo a ristorarmi così col prendere cibo, terminato il quale stavo conversando con Paolo Montanari mentre entrò Angelo Ghermandi che ordinato del vino si diede a berlo gridando di fare un brindisi a dispetto del Papa, il mio compagno si diede a chiederle se di lui intendesse parlare al che rispose negativamente ed accennò che a me solo era diretta quell'ingiuria: non potei trattenermi dall'avventarmisi contro ma persone si frapposero ed alla intimidazione di sortire dalla Locanda fattami dal sig. Augusto Raffanini obedii, ma il Ghermandi m'inseguì in compagnia di Serafino Moretti s'in dirimpetto al quartiere di questa Guardia nazionale (al piano terreno dell'edificio comunale, ndr) e con urti e pugni mi stesero al suolo e molte persone ci scorsero e ci divisero.
Ciò è quanto a mio sgravio faccio noto a questa direzione di Pubblica Sicurezza onde proceda a termini di Legge, nel mentre mi raffermo
Della S.V.Ill.ma
Anzola 7 febbraio 1860
Obb.mo Dev.mo Servitore
Pier Giacomo Pedrazzi"
Il secondo:
"Anzola, 10 febbraio 1860
A S.Ecc.za Illustrissimo Signor Intendente Provinciale di Bologna
ecc.za ill.ma
domenica scorsa 5 volgente mese, mentre si facevano le elezioni del Consiglio Comunale e Provinciale nell'adunanza di questo Collegio Elettorale, il Sign. Angelo Baroni di questo Capo-Luogo Com.le, trovandosi in camera di quest'Uffizio con molti Elettori ebbe ad imprecare contro l'attuale Municipio, sul modo di amministrare gli interessi comunali. Il sign. Dott. Luigi Conti Consigliere nell'attuale Municipio, prese parte per l'intero Consiglio, onde in modi urbani persuaderlo del contrario; esso vieppiù inguriava il sign. Dott. Conti ed il Consiglio, in modo di cagionare non lieve disordine, se l'educazione del sign. Dott. Conti non era tale da contenersi in modi civili per evitare qualunque inconveniente, di cui ne fanno fede i signori Pompeo Baroni e Eugenio Leoni entrambi di questo Capo-Luogo Com.le che ivi si trovavano nel tempo del dissidio.
Debbo significare all'Ecc.za V.Ill.ma che l'accennato Baroni ebbe a ingiuriare altre volte il Municipio.
Mi è grato rassegnarmi con distinto ossequio
Della Ecc.za Vostra Ill.ma
Umil.mo Dev.mo Servitore
Il Priore
Astorre Arnoaldi Veli"
Sono avvenimenti, seppur minori, che offrono un quadro abbastanza preciso, in ogni suo aspetto, dell'Anzola degli anni del Risorgimento e di come questo grande avvenimento politico, rivoluzionario e nazionale, trovò spazio nel territorio comunale.
Attravero queste modeste Cronache riemergono le personalità dei cittadini del tempo, con le loro passionalità politiche, i loro umori tanto uguali ai nostri, le focosità polemiche e politiche che hanno sempre caratterizzato le genti emiliane e le difficoltà tipiche delle nostre campagne.
Se,pur con noteveli limiti, ci sforziamo di illustrare le personalità deglianzolesi che vissero quelle vicende politiche, lo facciamo perchè crediamo che per meglio comprendere cosa ha significato un cambiamento storico come quello imposto dal Risorgimento occorre conoscere la composizione socio-economica di coloro che lo vissero.
Se la piccola nobiltà locale fu,presubibilmente, quasi unanimemente "attendista" e molto diepida nei confronti del nuovo ordinamento politico, l'atteggiamnento della borghesia commerciale e terriera fu moltopiù articolato e composito: con famiglie tradizionalmente conservatrici e cattoliche (i Baroni i Pedrazzi i Serrazanetti, tutti dimoranti nel borgo capoluogo) dichiaratamente contrarie al nuovo Stato Sabaudo e famiglie (quali i Costa) molto più aperte e possibiliste verso le novità politiche di quegli anni. Non dimentichiamo che a definire questi atteggiamenti non erano estranei dei vecchi e radicati antagonismi familiari e personali, nonchè i forti condizionamenti di famiglie bolognesi molto influenti ad Anzola (perchè possedevano vaste proprietà terriere) quali i Conti Tacconi, i Poggi, gli Arnoaldi Veli. L'atteggiamento dei ceti sociali più umili merita un discorso a parte perchè intervengono, a condizionare il loro consenso e la loro apatia, elementi diversi quali l'indigenza, l'ingnoranza dei fatti e la parrocchia.
Presumiamo che gli sconvolgimenti politici legati ai moti risorgimentali abbiano coinvolto in modo molto marginale la vasta area del proletariato perchè costoro, alla tradizionale diffidenza delle campagne verso le novità provenienti dall'esterno, sono costretti a sommare l'atavica indigenza sociale ed economica che li costringe a rivolgere la loro attenzione più alla quotidianità delle loro tribolazioni che ai fatti politici di cui, in larga parte, non sono in grado di capire nè l'importanza, nè la portata storica.
L'analfabetismo, l'ignoranza, la mancanza di informazioni, sono alla basa di un atteggiamento di sostanziale apatia, se non di aperto rifiuto, verso le innovazioni politiche e istituzionali che stavano modificando radicalmente gli equilibri statici che facevano perno sulla Chiesa e sulla parrocchia: solidi e sicuri punti di riferimento delle campagne da tempo immemorabile.
Anche in presenza di una movimento laico ed unitario come il Risorgimento italiano le parrocchie rimanevano dei solidi punti di condizionamento politico e il pesante atteggiamento anticlericale, che caratterizzò la borghesia liberale durante questi primi anni di Stato unitario, trova giustificazione prorpio nella difficoltà dei nuovi detentori del potere a limitare l'opposizione del clero e a sottrargli l'influenza sui ceti più umili della popolazione.
A sbloccare la situazione arriva finalmente il referendum che nei giorni 11 e 12 marzo 1860 dovrà decidere della sorte dei territori emiliano-romagnoli, chiamnado la gente a votare proprio quando maggiore è la difficoltà del governo Farini a contenere le spinte anti unitarie che stanno organizzandosi seriamente.
Quasi un anno di caos istituzionale ha screditato il nuovo ordinamento politico e il lavoro di erosione portato avanti da coloro che godevano del privilegio durante ilcessato regime pontificio ha creato ulteriori problemi algoverno provvisorio. L'arma più efficace usata dal clero contro il nuovo potere è quella di mischiare con artefatta confusione la laicità delle nuove istituzioni con l'emarginazione della religione e dei valori legati ad essa, ed indicare nella esclusione dei religiosi dalle cariche politiche ed amministrative la volontà di creare una società "contro" la religione cattolica e i suoi Ministri.
La povera gente, che più che alla laicità dello Stato era interessata a modificare il proprio stato di perenne povertà che aveva sperato di migliorare con l'avvento del nuovo governo, non è insensibile ai discorsi di coloro che lavorano contro l'unione del Regno di Sardegna e le trattative diplomatiche protrattesi per tanto tempo non hanno certo tolto spazio agli antiunitari e ai nostalgici papalini per fede o per interesse.
Comunque, il puntodi maggiore crisi è superato con la fissazione della data dei referendum assieme alla descrizione dei criteri per lo svolgimento dello stesso.
Questo referendum, a differenza delle normali elezioni politiche e amministrative del tempo, allarga molto la base elettorale perchè probabilmente il governo sabaudo non si fida dell'elettorato tradizionale ancora legato al decaduto regime e concede spazio alvoto popolare confidando nella passione unitaria che il popolo sta dimostrando. I risultati elettorali dimostreranno che la vecchia classe politica e aristrocratica contribuì, quasi unanimemente, all'annessione al Regno di Sardegna, ormai certa del mantenimento del potere e dei privilegi anche all'interno del nuovo ordinamento politico e statale.
L'ottomarzo il Priore d'Anzola chiede al parroco di suonare le campane "a tocco" dalle ore sette alle ore otto della domenica successiva per indicare l'orario di inizio delle votazioni, poi chiede ad Alessandro costa, capitano della Guardia Nazionale, due drappelli di guardie per sorvegliare i seggi. L'avviso di convocazione degli elettori è il seguente:
"Governo delle regie province dell'Emilia
Provincia di Bologna
Comune d'Anzola
Avviso
Giusto il disposto del Decreto 1 volgente mese, del Governatore delle R.Province dell'Emilia, in ordine alla solenne convocazione del Popolo di queste province per dichiarare la sua volontà sulle due seguenti proposte:
Annessione alla Monarchia Costituzionale del Re Vittorio emanuele II
ovvero
Regno Separato
S'invitano quindi i cittadini che hanno compiuti i 21 anni e che godono dei diritti civili, a dare il loro voto mediante scheda, manoscritta o stampata, esprimendo la sua volontà in questa formula:
Annessione alla Monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II
ovvero
Regno separato
e a tal fine nei giorni di domenica 11 e lunedì 12 corrente verranno convocati gli elettori in due Collegi, cioè nella residenza Municipale del Capo-Luogo per quelle parrocchie di Anzola e Santa Maria in Strada, e nel Palazzo Zambeccari a S.Giacomo del Martignone per quella frazione di San Giacomo del Martignone medesimo, salvo le modificazioni che venissero ingiunte per completare qust'ultima sezione a senso dell'art. 8 del citato Decreto.
L'importanza di quest'atto impone ad ogni cittadino di raccogliersi nella rettitudine della sua coscienza e nella pienezza della sua libertà, onde scegliere quello dei due partiti che stima più utile alla Patria.
Dalla Residenza Municipale in Anzola 4 marzo 1860
Il Priore Comunale
A.Arnoaldi Veli"
La sera del 12 marzo, chiusi i seggi, l'urna contenente i voti degli anzolesi viene inviata al Giusdicente Comunale di Bologna per le operazioni di scrutinio. Il 18 marzo 1860 viene emesso il Decreto reale di annessione delle province emiliane allo Stato Sabaudo.
Da "Storia di Bologna -Ed.Alfa- parte curata dal prof. Giulio Cavazza:
"La primavera del 1860 segna per Bologna il punto di arrivo del cammino verso l'indipendenza e l'unità nazionale.
Ottenuto finalmente il via dal Cavour, che, con la cessione di Nizza e Savoia, ha risolto il problema dell'assenso di Napoleone III all'annessione della Toscana e dell'Emilia, il governatore Farini annuncia ufficialmente l'immininte referendum, con suffragio universale e diretto e segreto, relativamente al seguente quisito "annessione alla Monarchia Costituzionale del re Vittorio Emanuele II ovvero Regno Separato". Come si vede, sono escluse a priori sia l'alternativa di una restaurazione pontificia sia l'alternativa repubblicana. Obvviamente la propaganda elettorale è in una sola direzione; gli studenti manifestano il loro entusiasmo per il plebiscito percorrendo le città con bandiere e fiaccolate, e moltissimi cittadini ornano il cappello con il nastro tricolore e con la scritta annessione. Le votazioni si svolgono l'11 e il 12 marzo in un clima di festa, essendo chiaro a tutti che non si tratta di fare una scelta, ma di dare l'assenso ufficiale ad un fatto già compiuto; la città è adornata di bandiere tricolori, di arazzi alle colonne, di drappi alle finestre e la raccolta dei voti avviene tra il suone delle campane del Comune.
Il 14 marzo il Tribunale di Cassazione annuncia il seguente risultato delle votazioni nelle Province dell'Emilia: popolazione 2.217.105, elettori 526.218, votanti 427.512, voti per l'annessione 426.006, voti per il regno separato 756, voti nulli 750. Per la Provincia di Bologna i votanti risultano 76.500, i voti per l'annessione 76.276. E' tuttavia da notarsi che le estensioni dal voto (circa il 20% dell'elettorato) hanno in buona parte il significato di una protesta contro l'annessione o da parte dei nostalgici del vecchio regime o da parte di coloro che sono avversi alla monarchia .
Il 18 marzo l'iter giuridico delle operazioni si conclude a Torino con una solenne cerimonia in cui il Farini presenta al re l'atto di annessione dell'Emilia Romagna al Regno Sabaudo. Un'era di progresso e di rinnovamento sembra aprirsi e l'entusiasmo del momento fa dimenticare la gravità e la complessità dei problemi da affrontare; intanto, però, almeno sul piano psicologico, la città si sente già inserita in un nuovo contesto politico e economico, come del resto dimostra il già avvenuto collegamento ferroviario con l'Italia del Nord, che spezza l'immobilismo troppo a lungo protrattosi; sin dal luglio del 1859, infatti, è stato aperto al pubblico il servizio ferroviario Bologna-piacenza, e nel gennaio 1860 è già possibile raggiungere Torino per ferrovia in circa dieci ore di viaggio. Che, inoltre, il fatto politico venga sentito come premessa e punto di partenza di un rinnovamento socio-economico appare fuor di dubbio; il sintomo più evidente del dinamismo della città verso questa direzione è il manifesto, pubblicato da un comitato promotore a capo del quale è Livio Zambeccari, con cui si annuncia ai cittadini la costituzione di una associazione degli operai, fondata sui diritti dello Statuto sabaudo. E' l'atto di nascita della Società Operaia, che si darà presto uno statuto di chiara impronta mazziniana e che avrà in seguito, e per lungo tempo, un ruolo di notevolissimo rilievo nella vita politica cittadina".
Effettuata, finalmente, l'unione allo Stato Sardo, viene convocato ad Anzola il Consiglio Comuale, nel quale le cose mutano sensibilmente rispetto ai precedenti Consigli del periodo pontificio. Il capo della comunità, nonchè presidente della Municipalità, abbandona il titolo di Priore (mutuato dai Priori a capo delle confraternite religiose) e assume quella di Sindaco, gli anziani municipalisti lasciano questa anitica nomina per assumere quella di Assessori, la Magistratura comunale diventa l'odierna Giunta Municipale e il numero deicomponenti di quest'ultimo istituto (per i Comuni delle dimensione del nostro) passano da tre a sette. Il Sindaco ha il compito di presiedere sia la Giunta (organo esecutivo) che il Consiglio (organo deliberativo), coadiuvato da quattro Assessori effettivi e due supplenti. Conformando gli enti locali alle prescrizioni previste dalle leggi sarde, i Comuni assumono i connotati politici e amministrativi che ancora oggi mantengono.
Il 25 marzo, unitamente al decreto che sancisce l'unione dell'Emilia-Romagna allo Stato Sabaudo viene inviato ad Anzola il primo messaggio del Re al popolo emiliano, con l'ordine di affiggerlo nell'albo pretorio del Municipio:
POPOLI DELL'ITALIA CENTRALE!
I vostri voti sono soddisfatti. Voi siete uniti cogli altri miei Popoli in una sola Monarchia: questo premio hanno meritate la vostra concordia e la perseveranza.
Grande beneficio è questo per la Nostra Patria, e per la civiltà. Ma perchè se ne colga ogni miglior frutto è necessario il perdurare ancora nelle virtù, di cui avete dato mirabile sempio che sovra tutte è necessaria la ferma volontà di sagrificio, senza la quale mal si compiono, mal si assicurano le grandi imprese.
Io pongo in Voi quella fede che non indarno avete posta in Me. Il patto che ci lega indissolubile è patto d'onore verso la Patria comune e la civiltà universale.
Io non ebbi in passato altra ambizione che quella di porre a cimento la vita per l'indipendenza d'Italia , e di dare ai popoli l'esempio della lealtà per cui ristorandosi la pubblica morale si dà colla libertà saldo fondamento agli Stati.
Ora ho l'ambizione di procacciare Me ed alla Mia Famiglia dai Popoli nuovamente uniti quella divota affezione per cui vanno celebrati i Subalpini; ambisco di fortificare gli Italiani nella unanimità di quei nobili sentimenti per la quale si forma il forte temperamento dei popoli, che sa provare l'avversa e preparare la buona fortuna.
Torino addì 25 marzo 1860
VITTORIO EMANUELE
Farini
In questa prima fase dei nuovi Comuni, il Sindaco non è eletto direttamente dal Consiglio Comunale ma è nominato con regio decreto direttamente dal governo; occorrerà attendere la ristrutturazione operata nel 1895 per avere l'elezione diretta del capo della comunità da parte del Consiglio.
Ed è il governatore di Bologna che si inacarica di comunicare al possidente Astorre Arnoaldi Veli che è volontà del governo insediarlo ad Anzola in qualità di primo Sindaco unitario del paese, quale premio per ever saputo guidare il Municipio nei difficili momenti dell'incertezza politica successiva agli esaltanti momenti della cacciata del Legato pontificio.
Quando venerdì 23 marzo 1860 si riunisce il Consiglio Comunale per eleggere la Giunta Municipale, sarà appunto Arnoaldo Veli a presiedere alla votazione per eleggere i quattro Assessori effettivi della nuova Giunta.
Saranno eletti Assessori Matteo Monteguti (con 15 voti) e Alessandro Costa (con 11 voti)alla prima votazione. Gli altri due Assessori furono oggetto di una trattativa che necessitò pefino di una breve pausa dei lavori consiliari perchè, probabilmente, la presenza in Consiglio Comunale di molti esponenti della borghesia cattolica rese necessario il raggiungimento di un equilibrio rappresentativo che si consolidò con la elezione di Raffaele Serrazanetti e dell'agente di campagna Zucchi Giuseppe (ambedue con 9 voti).
Questa nuova amministrazione fu il frutto di un intelligente compromesso fra gli esponenti delle principali tendenze politiche della borghesia anzolese, perchè all'interno della Giunta vediamo nomi di noti esponenti delle decadute amministrazioni e nomi di liberali sostenitori del nuovo ordinamento politico, compreso quel Costa Alessandro che fin dall'anno precedente non ha mai sottaciuto le proprie simpatie per come stavano evolvendo le cose, in perenne antitesi alla potente e cattolicissima famiglia Pedrazzi (che abitava proprio di fronte alla villa di Costa).
Il nuovo ordinamento sabaudo si era avocato il diritto di nominare il Sindaco scegliendo fra personaggi di sicura fede politica (al pari dell'ex Legato pontificio), ma per gestire in modo efficace il potere fu costretto a tenere conto delle idee e degli interessi della componente borghese ancora legata alle decadute istituzioni legatizie, dando vita ad ogni sorta di compromesso che consentisse di uscire da ulteriori "impasse" gestionali.
Con un atto di buona volontà che accontentò tutte le componenti presenti in Consiglio Comunale, si chiusero i lavori di quella riunione e si cominciarono a gestire i difficili primi anni unitari, anche se un terzo dei Consiglieri presenti manifestò il suo disappunto verso il compromesso rifiutandosi di votare gli uomini indicati dalla minoranza filopontificia, che raccolsero solo 9 voti sui 15 presenti.
LA VISITA DEL RE A BOLOGNA
Da "Storia di Bologna" opera citata:
"Il 1 maggio Vittorio Emanuele, dopo aver visitato la Toscana, giunge in visita ufficiale a Bologna, proveniendo da Firenze e preceduto di qualche ora dal Cavour, arrivato in treno da Torino. Il Re entra in città da Porta S.Stefano, percorre via S.Stefano, via Carteleria nuova (ora via Guerrazzi), Strada Maggiore, il Mercato di Mezzo (ora via Rizzoli) e giunge in Piazza Maggiore, ribattezzata in suo onore col suo nome, accolto dai bolognesi di ogni strato sociale con commozione ed entusiasmo.Una solenne cerimonia religiosa in San Petronio, un ricevimento al Palazzo Comunale, una festa al Teatro Comunale, le visite all'Archiginnasio, alla Pinacoteca e ai musei, una rivista militare alla Montagnola sono gli aspetti più rilevanti delle trionfali giornate bolognesi di re Vittorio che si concludono il 4 maggio. Le partecipazioni dei cittadini alle varie fase della visita reale è molto larga e sinceramente calorosa, poichè tutta la città nelle sue varie componenti sociali è concorde nell'esprimere la sua gioia per l'evento; in ciò è però da vedersi la soddisfazione per l'inserimento della nuova realtà dell'unità politica nazionale, che si va ormai chiaramente raffigurando, che l'approvazione di una scelta istituzionale. L'entusiasmo patriottico pone momentaneamente in secondo piano ogni altra considerazione politica: è il momento della spedizione dei Mille alla quale i bolognesi contribuiscono largamente con arruolamenti di volontari e sussidi in denaro, benchè Minghetti, uomo di collegamento fra Torino e Bologna, inviti alla prudenza, ponendo in rilievo, in lettere riservate ai suoi amici della Società Nazionale, che l'impresa è del tutto estranea alla volontà del Governo piemontese; e, dopo il clamoroso successo dei garibaldini, è il momento del rapido completarsi dell'unità italiana, con l'occupazione delle Marche e dell'Umbria e con l'incontro di Teano fra Garibaldi e re Vittorio.
In questa fase tornano di nuovo alla ribalta i bolognesi più arditi, liberali progressisti e repubblicani, di cui il Farini, a nome del governo piemontese, sollecita il contributo,i quali, con audaci spedizioni di bande armate di volontari di San Leo e ad Urbino, precedono di qualche giorno l'ingresso dell'esercito regio nel territorio pontificio, costituendo l'avanguardia della rivoluzione italiana".
Il 22 aprile arrivò ad Anzola la lettera con la descrizione del programma inerente la visita del Re, nonchè l'invito al Sindaco di fare parte del comitato dei ricevimenti:
"Municipio di Bologna
prot.n.16
lì 21 aprile 1860
Ill.mo Signore,
Analogamente a quanto ebbi l'onore di significare alla S.V.I colla mia circolare del 14 aprile corrente, mi facevo debito di parteciparLe, che l'arrivo di S.M. il Re Vittorio Emanuele in Bologna avrà luogo il giorno di lunedì 30 aprile corrente.
Sarebbe desiderabile che tutte le rappresentanze dei Comuni di queste Province convenissero in Bologna in questa circostanza, affine che il ricevimento di un tanto Re riuscisse degno di Lui, e degno di queste Province medesime.
Gli è perciò che io prego e invito V.S.I. a volersi trovare nel suddetto giorno 30 aprile alle ore 12 meridiane in questa Residenza Comunale, onde avere le necessarie intelligenze per procedere tutti uniti al ricevimento di S.M. e determinare i modi della presentazione dei decreti consigliari contenenti le offerte di ciascun Comune, nella misura delle forze rispettive, avrà votato a S.M. a testimonianza di grato animo, e per concorrere alle spese di guerra, ove questa dovesse sostenersi a difesa della Libertà e della Indipendenza Nazionale.
A norma V.S.I. il distintivo dei Sindaci è una fascia tricolore alla cintura.
L'ingresso in Bologna delle Rappresentanze Comunali nel glorioso giorno sopraindicato sarebbe opportuno fosse fatto in modo distinto come si addice al grande avvenimento, e cioè, con Bandiere Nazionali e Corpo Musicale alla testa e poscia il Sindaco e gli altri Rappresentanti e facenti parte del comune, procedendo in tal modo fino alla Residenza di questo Municipio per giungervi alle ore 12 meridiane. Ed affinchè siffatto ingresso possa meglio corrispondere all'aspettativa ed alla circostanza, potrebbe con reciproca utilità i minori comuni unirsi a due, a tre, formando in tal modo maggiore concorso di persone, e di mezzi acconci a rendere più splendida la solennità.
E rendendole intanto le più sincere grazie per la parte che si compiacerà prendere questo invito, mi è grato ripeterle i sensi della mia distintissima stima.
Il sindaco
Luigi Pizzardi"
Anzola, seguendo le note di adesione alle manifestazioni rivolte al Sindaco Arnoaldi Veli, fu uno dei piccoli paesi che si unì ad altri per rendere più decorosa la presenza a Bologna, non possedendo nè un Gonfalone municipale, nè una banda musicale, nè una nutrita schiera di componenti l'amministrazione comunale.
Comunque, il comune la sua bella figura la fece ugualmente, perchè consegnò nelle mani del Re la somma deliberata per sostenere le spese di guerra:
......."oggetto unico - Proposta di offerta a Sua Maestà Vittorio Emanuele II per concorrenza alle spese di Guerra.
Annunciatasi al Consiglio la fausta circostanza della venuta in Bologna di Sua Maestà nostro magnanimo Re Vittorio Emanuele II, lieto il Consiglio medesimo di tale annuncio, ne ha manifestato il sincero animo di attestare la sua gratitudine verso il nostro Magnanimo Re,nei modi più convenienti; quindi il sign. Sindaco Presidente, animato dal sicero affetto addimostrato dal Consiglio al nostro Sovrano, e stimolati entrambi dall'amor Patrio, propone al Consiglio medesimo di disporre a favore del nostro Magnanimo Re vittorio Emanuele II la somma di lire italiane quattromila . L.4000 - da valersene all'uopo per le spese di Guerra, per la difesa della libertà e Indipendenza Nazionale, ritraendo la somma medesima dalla vendita di Cartelle di Credito fruttifero per equal somma, pagabili in tre anni, in tre rate uguali.
Il Consiglio cortese mai sempre, e desideroso oltremodo di aderire a questa solenne manifestazione d'affetto e riconoscenza, ad unanimità di voti e con vivi applausi approva la proposta del sign. Sindaco....(Dal verbale del Consiglio Comunale del 20 aprile 1860).
A parte il linguaggio retorico e l'enfasi che il segretario comunale usò nel redarre il verbale (attento all'importanza dell'evento ma anche alla necessità di mantenere la sua numerosa famiglia) emettere obbligazioni per la somma di L. 4000 rappresentava uno sforzo notevole da parte del Comune, se consideriamo che l'ammontare della parte attiva del bilancio preventivo per l'anno 1860 era di poco superiore alle 7000 lire italiane. Questo per darvi un'idea delle proporzioni delle due cifre.
RITORNA LA COSCRIZIONE MILITARE OBBLIGATORIA
L'entusiasmo dei democratici era però destinato ad essere di breve durata. Come intendessero l'unità italiana i piemontesi risulta chiaro dalla continuità istituzionale fra regno di Sardegna e regno d'Italia, la graduale estensione della legislazione piemontese a tutto il Paese e soprattutto nella formazione delle strutture amministrative. Il nuovo Stato intese penetrare in tutti gli stadi della vita associativa con l'intento di controllarne ogni manifestazione, attuando una originale simbiosi di accentramento politico e decentramento burocratico che è a tutt'oggi presente nella realtà politica e istituzionale nazionale. Il maestro, il segretario comunale, il medico condotto, lo stesso sindaco dipendevano direttamente dall'autorità centrale. In questo modo lo stato pretese di rapportarsi alle comunità locali. I prefetti vennero delegati a coordinare e controllare questo processo di formazione forzata della nazione, processo al quale non fu estraneo l'esercito.
L'obbligo del servizio di leva venne esteso a tutte le province del regno in tappe successive dal 1860 al 1862.Ad Anzola il manifesto della coscrizione militare obbligatoria arriva nell'ottobre del 1860
Sappiamo che il fenomeno di renitenza alla leva fu molto diffuso nei primi anni postunitari. Specialmente nel Meridione, dove si intrecciò al rifiuto dello Stato "piemontesizzato". Ma la coscrizione rappresenta anche qualcosa di molto più articolato e differenziato, attorno alla quale si costruiscono modelli di comportamento, aggregazioni sociali, attitudini mentali.
Certamente l'obbligo militare non poteva risultare gradito: cinque anni di servizio (ridotti a tre nel 1874) sottraevano braccia alla terra, spezzavano bruscamente legami familiari e sociali, esponevano il giovane ad un'esperienza traumatica.
Tuttavia, inevitabilmente, il servizio militare rivoluziona la vita del cittadino, introducendo fra la giovinezza e l'età adulta una esperienza di vita collettiva, una specie di equivalente laico di sacramento religioso. Lo Stato entra nella vita di tanti in maniera brutale ma decisiva, determinando forti pretese e resistenze, ma anche producendo forme istintive di consenso e di partecipazione.
SEMPRE NELL'ANNO 1860
....Si festeggia per la prima volta la "Festa dello Statuto", imposta da un decreto del Farini pochi mesi prima, e in questa occasione emergono delle difficoltà che il nuovo Governo deve affrontare nel proseguire la laicizzazione delle istituzioni nei territori delle ex Legazioni.
Il Governo aveva decretato la festa dello Statuto Albertino con la evidente intenzione di cominciare ad imporre delle festività civili che coinvolgessero l'interesse delle popolazioni e contribuissero a creare centri di vita sociale attorno ai Municipi, in alternativa ai tradizionali centri di aggregazione religiosa. Quindi, ripercorrendo le norme della legislazione napoleonica, il Farini riteneva che solo togliendo alle parrocchie il ruolo di eclusivo punto di riferimento sociale si potevano avere speranze di successo nell'estendere la reale influenza dello Stato su tutti i territori ad esso assoggettati.
Ma se mantenere gli stessi personaggi al potere aveva consentito al Governo di superare con relative difficoltà i momenti di maggiore tensione politica, adesso queste stesse persone diventavano degli ingombranti ostacoli sulla strada della laicizzazione dello Stato: vuoi perchè costoro facevano fatica a dividere nettamente lo Stato dalla Chiesa dopo cinquant'anni di convergenza quasi assoluta, vuoi perchè una consistente parte di questi personaggi non aveva affatto l'intenzione di contribuire ad affrancare il Comune dall'influenza del clero e della parrocchia.
Così successe che, ad Anzola, la prima festività a carattere "civile" dopo il periodo di dominazione napoleonica fu solennizzato con manifestazioni prettamente religiose, creando presumibilmente un certo sconcerto nelle autorità bolognesi e rimandando la laicizzazione del Comune a data da testinarsi; va detto, senza ironia, che il ruolo della parrocchia era in quei tempi troppo importante e coinvolgente per sperare che in poco tempo si potessero superare delle istituzioni aggregative che, ancora oggi, sono largamente e positivamente influenti non solo ad Anzola.
Fattostà che dopo avere consultato la Giunta sul da farsi, il Sindaco Arnoaldi Veli fece affiggere all'albo della residenza municipale il seguente avviso:
"Governo delle regie province dell'Emilia
Provincia di Bologna
Comune di Anzola
Avviso
Accadendo la Festa dello statuto Costituzionale di questo Regno Italiano nella prossima seconda domenica di maggio 13 corrente, e volendosi solennizzare la festa medesima anche in questo Comune, giusta la ingiunzione del Superiore Governo e dell'Eccelsa Intendenza Generale, codesta Rappresentanza Municipale ha divisato di celebrare la festa medesima colla sola festa religiosa nei modi più convenienti, e colla illuminazione alle finestre la sera stessa della domenica e quanto deveasi spendere nel solennizzare con pompa la festa medesima verrà elargito in beneficenza agli individui tutti contemplati nella Categoria dei Braccianti in ragione di baj: 5 cadauno agli Uomini; 4 alle Donne; e 3 baj: ai Fanciulli in tanti generi di vittovaglie da prendersi dalle botteghe di questo Comune mediante biglietti che verranno distribuiti dall'Uffizio Comunale nei giorni di lunedì e martedì 14 e 15 volgente mese.
Dalla Residenza Municipale, II maggio 1860
per la Giunta Municipale
il Sindaco
Astorre Arnoaldi Veli
Così facendo furono tutti contenti: il parroco, gli amministratori, i braccianti e i commercianti locali.
Uno dei primi atti di Governo fu l'unificazione dell'unità monetaria circolante nel regno e l'unificazione delle unità di misura usate nei catasti, nei negozi e nelle operazione commerciali quotidiane.
La moneta imposta dallo Stato fu lalira italiana, cambiata con le antiche unità monetarie al cambio ufficiale operante al momento dello scioglimento dei vecchi governi locali, anche se nei territori delle ex Legazioni (e a Bologna in particolare) la moneta pontificia fu largamente usata fino al 1870, anno della definitiva soppressione dello Stato Pontificio.
Per le unità di peso, capacità e lineari, si sopprimono le vecchie misure operanti nel bolognese a favore del sistema metrico decimale. Questo nuovo sistema, mai usato nelle nostre zone e sconosciuto ai più, crea i primi grattacapi proprio a chi ha il compito di insegnarlo nelle scuole; ed è proprio per questo che il 17 maggio si svolge in municipio l'esame per scegliere tre precettori per le scuole comunali, uno per il capoluogo e uno ciascuno per gli appodiati (o frazioni) di S.Maria in Strada e S.Giacomo del Martignone.
I verbali dell'epoca ci informano che, fra tutti i concorrenti, solo i signori Gaetano Tarozzi e Luigi Collina".....sono forniti delle cognizioni teoriche necessarie per la pubblica istruzione di questo Comune.Mancanti i sign.ri Collina e Tarozzi di cognizioni nel sistema metrico decimale, le venne imposto d'istruirsi nelsistema medesimo e di subire analogo esame per essere riconosciuti idonei all'istruzione pubblica, quindi il signor Tarozzi occupatosi dello studio del sistema suddetto, ed acquistate le necessarie cognizioni, si è assoggettato all'esame e ne risulta che ha studiato con profitto il sistema metrico decimale, e si è reso capace di insegnarlo...".
Il settore della pubblica istruzione è molto seguito dal Consiglio Comunale e, oltre ai nuovi insegnanti incaricati per le tre classi esistenti sul territorio comunale, in quel 1860 si delibera anche la proposta di istituire una ulteriore scuola, con relativa maestra, per i bambini di prima età e per le ragazze del capoluogo.
In questo caso però i consiglieri non tengono conto fino in fondo del significato di gratuità dell'istruzione che il nuovo ordinamento legislativo piemontese prevede e ci penserà l'Intendenza di Bologna a tirare loro le orecchie, con la sospensione d'autorità di questa delibera e con la richiesta di porre totalmente a carico della pubblica amministrazione l'intero onere dell'istruzione pubblica, senza insistere nel coinvolgere gli alunni nel sostenere le spese inerenti la retribuzione degli insegnanti.
E' una svolta notevole che viene recipita immediatamente dagli improvvidi anzolesi che, nella seduta del 6 dicembre 1860, mortificati dall'errore commesso ma convinti della utilità di insegnare a leggere e a scrivere anche alle fanciulle, deliberando l'assunzione di una maestra elementare a totale carico del Municipio.
Durante l'estate del 1860 avviene ad Anzola un fatto un po' curioso che riporta agli onori della cronaca la presunta apparizione della Madonna nella frazione di S.Maria in Strada, avvenimento che per un po' di tempo tenne viva la fede e gli interessi degli abitanti del luogo.
La notizia della visione della Madonna da parte di alcuni parrocchiani suscitò un tale clamore, ad Anzola e nei paesi limitrofi, da indurre il Tribunale Criminale Ecclesiastico ad inviare ai parroci una lettera riservata che sconfessava la presunta apparizione divina e invitava le autorità parrocchiali anzolesi a fare rientrare questa diceria.
Fatta questa premessa, ritorniamo al 2 luglio 1860 quando viene inoltrata alla Delegazione Mandamentale di Pubblica Sicurezza di Bologna la seguente denuncia:
"Ill.mo Signore,
venuto a cognizione questo Ufficio Comunale che alcuni incogniti si trovavano appostati dietro il vicolo Chiesa (l'attuale via Don Minzoni, ndr) in prossimità di questa Chiesa Parrocchiale di Anzola, e quindi si è ordinato una piccola pattuglia di Guardia Nazionale comandata dal sign. Tenente Leoni, il quale ha perlustrato il vicolo suddetto e vicinanze, ed hanno rinvenuto soltanto Luigi Barozzi che trovasi giacente in una cavedagna del Podere degli Eredi Pedrazzi; procedutosi all'arresto e tradotto in Uffizio ed ivi interrogato ha dichiarato di avere domicilio a Bazzano, sortito dal ricovero di Bologna, il giorno 30 giugno, venuto in Anzola (dice lui) per visitare una certa Madonna che trovasi nel vicolo suddetto, ove si parlava dell'apparizione della Beata Vergine; e interrogandolo pure in altri punti ha manifestato di essre sortito dalle Carceri otto mesi or sono e fu carcerato per avervi ritenuto un coltello in saccoccia, infine si è proceduto al formale arresto, traducendolo a codeste Carceri Mandamentali per opportune disposizioni e nel frattanto ho a pregio rassegnarmi con distinta considerazione
della S.V.Ill.ma
Obb.mo Dev.mo Servitore
Il Sindaco."
LA FERROVIA AD ANZOLA
Durante l'estate del 1860 il traffico che scorre sulla ferrovia (inaugurata l'anno precedente) contribuisce all'interscambio fra le città dello Stato unitario e accelera i tempi del loro progresso sociale. Ad Anzola la particolarità del terreno sul quale era previsto il passaggio della starda ferrata aveva obbligato la società costruttrice a sopraelevare i binari dal fondo stradale con un terrapieno alto vari metri, al fine di colmare il dislivello del terreno esistente fra Lavino di Mezzo e Ponte Samoggia, e proprio questa scelta tecnica impediva la costruzione di un casello adatto a regolare le fermate del treno nell'unico punto dove la strada che conduceva a S.Giovanni in Persiceto si incrociava con la ferrovia, nella zona vicino alla Chiesa, popolarmente denominata "la bassa."
Quindi, la società proprietaria della ferrovia deliberò le fermate a Lavino e a Samoggia escludendo quella ben più importante del capoluogo, sollevando le rimostranze degli abitanti del borgo che non solo contestano le scelte attuate dalla proprietà dell'impianto, ma si apprestano a dare battaglia tempestando il Sindaco con petizioni che lo invitano a farsi interprete del disagio creato nel capoluogo e della necessità dei cittadini di salire in treno ad Anzola e non nelle due scomodissime frazioni.
Per un pò il Sindaco nicchia, poi deve arrendersi e farsi carico della delicata questione anche se è parecchio contrariato dalla volubilità dei suoi concittadini, che in meno di un anno hanno cambiato atteggiamento per ben due volte.
In un primo tempo il treno e la ferrovia sono visti come degli ingombranti intralci alla circolazione dei carri e dei cavalli e, a questo proposito, con una lettera inviata il 9 agosto alla Direzione delle ferrovie dell'Italia Centrale si illustra la protesta dei birocciai e contadini:
"Ill.mo Signore,
Fin dal giorno 12 luglio 1859 n.477 ebbi ad inoltrare rapporto a codesta Società della Ferrovia Centrale italiana per gli inconvenieti che accadono nelle rampe di codeste strade comunali, segnatamente nella via Castelletto alla stazione samoggia e nella via d'Anzola annesso a questo Capo-luogo Comunale, per ristretto spazio che lasciano i cancelli a stanghe, da non potersi transitare i carri carichi di stramane vario che di prequente, fin dall'anno scorso, accadde intralcio coi carri d'andata e ritorno ed anche con gran pericolo di ritrovarsi a contatto coi treni della ferrovia stessa, e quindi frequentissimi reclami vengono inoltrati a quest'Uffizio Comunale per cui debbo esortare vivamente V.S. Ill.ma a riparare immediatamento tal disordine, essend'ora il tempo di maggior passaggio per carri di stramane vallivo.
Spero che V.S.Ill.mo vorrà esaudire tale richiesta colla maggiore sollecitudine, ed in tale convinzione, mi è grato rassegnarmi con distinta considerazione.
della S.V.Ill.ma
Obb.Dev.Servitore
Il Sindaco
Astorre Arnoaldi Veli".
Poi, con il passare del tempo, accanto alle miopi lamentele dei contadini che vedeno nella ferraovia solo un elemento di intralcio al normale traffico dei carri, emergono punti di vista di coloro che hanno visto immediatamente le possibilità di sviluppo del mezzo di locomozione che consente rapidità di traffici, di spostamenti, di commerci: e sono proprio questi ultimi che non gradiscono affatto la mancanza di una fermata del treno nel capoluogo. Organizzatisi, presentano in Comune la seguente petizione:
"Ill.mi Signori (al Sindaco e alla Giunta Municipale, ndr) molti abitanti e possidenti del Comune di Anzola hanno conosciuto che mentre sarebbe per riuscire di comodità, e utilità grandissima per il Comune la Stazione ferroviaria in Anzola, questa, arrecherebbe maggior interesse alla Società proprietaria, delle altre due del Lavino e Samoggia, delle quali non ritrae nell'intera annata tanto da poter soddisfare il soldo di due mesi agl'impiegati che è costretta a mantenervi.
E ciò posto i sottoscritti si rivolgono alle S.S.L.L.Ill.me onde vogliano per il Comune indirizzare domanda al Rappresentante la pregiata Società, onde sia creata una stazione in Anzola offrendo qualche compenso in proposito, trattandosi di opera utile ai Comunisti.
Anzola,lì 30 settembre 1860
Giuseppe Serrazanetti, Giuseppe Costa, Antonio Baroni, Gesualdo Colombari, Angelo Baroni, Matteo Monteguti, Pompeo Baroni, dott.Conti Domenico, Alessandro Manzini- farmacista, Giuseppe Baroni, Cesare Serafini, Luca Gallina, Don Lorenzo Landi, Isidoro Risi, Eugenio Leoni, Gaetano Masi ed altri."
Probabilmente quando il Sindaco lesse la petizione ebbe uno sbuffo di insofferenza verso la volubilità dei suoi concittadini, che prima lo invitavano a fare la faccia feroce verso la Società delle ferrovie denunciando ogni sorta di intralcio, per poi invitarlo a chiedere alla stessa Società la possibilità di avere una fermata ad anzola, anche se le firme in calce al documento erano di tale portata da non lasciare dubbi e tentennamenti vari, se non voleva trovarsi a svolgere un altro incarico in brevissimo tempo.
Fattostà che la Giunta Municipale, con il Sindaco in testa, il 4 novembre successivo propose come punto primo dei lavori del Consiglio Comunale la:
"proposta d'inchiesta di una Casa di Fermata nella Ferrovia Centrale Italiana (a quei tempi erano ancora in mano ai privati, ndr), in prossimità del Capo-Luogo Comunale.Fatta lettura dell'istanza emessa da molti Possidenti, Negozianti, Artieri, Impiegati, etc. di questo Comune in data 30 settembre p.p., in questi atti al n.1441 tit.10, colla quale espongono quanto sarebbe di comodità e utilità per questo Comune una Casa di Fermata della Ferrovia, in prossimità di questo Capo-Luogo Comunale,non solo per valersi loro stessi della Ferrovia, ma anche per coadiuvare al commercio di questo Comune, nella circostanza ancora che si faranno a chiedere un Mercato settimanale, oltre la nuova Fiera conseguita pel mese di agosto, e quella consueta della fine di ottobre, e ritenendo ancora dell'interesse della Società delle Ferrovie stessa attivare la Casa di Fermata in discorso, sopprimendo quella del Lavino affatto passiva, perchè quest'ultima manca di strada per accedervi, ed in posizione isolata senza caseggiati, senza commercio etc.,quindi veggasi probabilità di poterne di poterne ottenere una vantaggiosa alla Società medesima, oltre ciò i petenti offrono qualche compenso per facilitarne il conseguimento. Il Consiglio nell'intendimento di tutelare l'interesse di questo Comune, ritiene che l'Azienda Comunale debba anch'essa concorrere equitatamente alla spesa relativa, onde rassicurarne il buon esito.
Il Sign. Sindaco Presidente ritenendo anch'esso che una Casa di Fermata della ferrovia in prossimità del Capo-Luogo Comunale arrecherebbe non lieve vantaggio a questo Comune, essendovi ancora in costruzione due strade comunali: una al meriggio di questo borgo verso Crespellano (in realtà si tratta della sistemazione della via Lunga, deliberata proprio in quell'anno,ndr),e l'altra a settentrione di congiunzione di questo Capo-Luogo con S.Giacomo del Martignone e S.Giovanni in Persiceto (questa sì che vide una realizzazione ex novo dei primi anni post-risorgimentali, anche se la decisione fu presa dal vecchio Consiglio Pontificio. E' l'odierna via Magenta,ndr), quindi Anzola si troverebbe in un centro di circolazione da progredire nel commercio, a ritrarne molti vantaggi; a fine pertanto di conciliare l'interesse del Comune, ed il comodo de' Possidenti, Comunisti, etc. propone di intavolare pratiche di accordo colla prefata Società delle Ferrovie, dietro offerta positiva de' Possidenti e Comunisti stessi nei modi convenienti per ben riuscirne.
Il consiglio ritenendo giusto l'esposto del sign.Sindaco, ad acclamazione approva la proposta del medesimo....."
Terminata la seduta del Consiglio, ed uscendo dagli uffici municipali, il Sindaco sperava in cuor suo che quella fosse l'ultima "grana" che la ferrovia creava a lui e al Comune stesso. Purtroppo, la sua rimarrà solo una vana speranza poichè, fra un problema e l'altro, i Sindaci anzolesi saranno assillati da questa benedetta fermata del treno fino alla nazionalizzazione delle ferrovie nel 1905, anni in cui ottennero una stazione stabile nel capoluogo.
Quando il governo piemontese effettuò una stima precisa degli abitanti del nuovo Regno, ai primi di marzo 1860, il Comune di Anzola risultò composto da 3.675 abitanti e, da un altro studio commesso al nostro Municipio, risultava che dal 1 gennaio 1830 al 30 settembre 1860 furono costruite 35 nuove case e 3 esistenti furono ampliate. Una media di una casa all'anno o poco più.
La nuova legge che regola i Consigli Comunali impone il ricambio di un quinto dei suoi componenti, mediante sorteggio degli Elettori amministrativi del Comune, ogni seduta di primavera del Consiglio stesso, e il rinnovo della Giunta Municipale (escluso il Sindaco) ad ogni sessione autunnale.
Sono previste due sessioni obbligatorie annuali del Consiglio Comunale: una in primavera per deliberare il bilancio preventivo e una in autunno per quello consuntivo. Ogni altra seduta del Consiglio è straordinaria e non è legata obbligatoriamente a date prestabilite.
Il nuovo ordinamento scinde molto chiaramente le competenze del Consiglio e quelle della Giunta e nessuna proposta di quest'ultima diventa operante senza la ratificazione del Consiglio, escluse alcune competenze minori che la Giunta conserva tutt'oggi. Quindi succede spesso che Sindaco e Assessori si vedono sospendere d'autorità le delibere di Giunta perchè sono usciti dalle loro competenze o perchè non munite della successiva approvazione consigliare. Il nuovo meccanismo fa fatica ad ingranare perchè i nuovi Municipi sono retti, in larga parte, da persone dell'amministrazione pontificia che operava con regole e competenze simili ma per quanto riguardava il potere dell'esecutivo molto più ampie. Però, tutto sommato, il nuovo ordinamento dà segni di buon funzionamento anche grazie alla ampia possibilità di decisione affidata agli enti locali in materia di enterventi pubblici, cosa che la Legazione pontificia concedeva solo dopo preventiva analisi che entrava anche nel merito dell'opportunità, o meno, della decisione assunta dal Comune.
L'Intendenza Generale di Bologna, insediata dal nuovo Governo con l'incarico di esaminare TUTTE le deliberazioni locali sotto l'aspetto della loro piena legalità e copertura di spesa, funzionava come l'odierno Comitato di Controllo e non entrava nel merito dell'opportunità della deliberazione assunta, concedendo un margine e un'autonomia ai Comuni sconosciuta fino a pochi mesi prima.
Concludiamo dicendo che la nuova legge, al pari della precedente, vieta in modo categorico ed assoluto che i Consigli comunali possano occuparsi di questioni politiche, anche se queste fossero in rapporto con alcune delibere da discutere nel Consiglio stesso. E, a scanso di incomprensioni o malintesi, l'Intendente Generale C.Mayr (che in seguito divenne Ministro dell'interno)in una lettera del 24 settembre 1860 ribadisce in modo netto questa disposizione.
DAL 1861, ANNO DI PROCLAMAZIONE DEL REGNO D'ITALIA
Da "Storia di Bologna " opera citata:
"il 14 marzo 1861, quando vittorio Emanuele II assunse il titolo di re d'Italia, la base fondamentale dell'unità politica italiana è realizzata; a bologna, all'una dipo mezzogiorno salve d'artiglieria fanno noto ai cittadini il grande avvenimento. Ma al momento degli entusiasmi risorgimentali e della fiducia nel futuro subentra assai presto, soprattutto negli strati popolari, la delusione per una mancata traduzione del rivolgimento politico in vantaggi economici immediati, cosicchè, se la primavera è stata esaltante, in autunno l'urgenza dei problemi irrisolti provoca e fa esplodere il malcontento delle classi più umili.
Dopo essere stata diretta ed autonoma protagonista delle lotte risorgimentali e dopo aver conquistato, con l'iniziativa dei suoi cittadini, l'inserimento nella nuova comunità nazionale, bologna tende negli anni successivi a riprendere una fisonomia politica locale, senza particolare rilevanza nei confronti del governo torinese; i suoi più eminenti uomini politici, fra cui in primo piano il Minghetti, operano del resto in seno al governo stesso e vengono in città solo per visite formali o perchè temporaneamente esclusi dalle posizioni di vertice. Ma, anche se acquistano di nuovo un interesse prevalente i problemi di carattere locale, connessi al non facile processo d'inserimento della città in una nuova dimensione politico-economica e al permanere, se non addirittura all'accentuarsi, dei contrasti tra il mondo cittadino e il mondo rurale, ciò non vuol dire che i bolognesi siano insensibili ai grossi problemi della vita nazionale.
Risolto nel 1866 il problema dell'annessione del Veneto, torna in primo piano la questione romana, che ovviamente assume un'importanza particolarmente rilevante per una città che dal 1815 al 1859 ha fatto della sua opposizione al governo pontificio il cardine della sua politica. Nelle elezioni del 1867 ritroviamo ancora fra i deputati eletti gli esponenti più noti del liberalismo moderato o progressista, cioè il Minghetti, il Pepoli, il Berti Picat nei collegi cittadini, e il Casarini e Rodolfo Audinot nei collegi della provincia. L'episodio di Mentana, che commuove profondamente i bolognesi, risuscita quegli atteggiamenti antimonarchici che, negli anni precedenti, carità di patria aveva posto a tacere.
Il settembre 1870, con la caduta di Napoleone III e con l'ingresso dell'esercito italiano in Roma, rappresenta anche per Bologna un momento storico di eccezionale rilievo:cade definitivamente quel potere temporale della Chiesa con cui, come sudditi più o meno fedeli o come oppositori più o meno vivaci, i bolognesi avevano dovuto fare i conti per molti secoli. Ma il grande avvenimento non rinnova quella concordia di sentimenti patriottici che aveva caratterizzato il giugno 1859, poichè la grande festa che si svolge in Piazza Maggiore viene turbata da gruppi di dissenzienti antimonarchici, mentri altri manifestanti percorrono rumorosamente le vie principali inneggiando a Mazzini e a Garibaldi. Il dissenso non è soltanto episodico, nè opera di un'esigua minoranza, come vuol far credere l'opione del partito dominante, poichè già si avverte la flessione dell'ala liberale conservatrice, quella dei cattolici, che sembranonon voler più accettare la loro emarginazione, quella dei lavoratori della Società Operaia, quella dei repubblicani che, seppure non molto consistenti sotto profilo numerico, possono vantare l'adesione ailoro ideali di eminenti porsonalità del mondo culturale.Si accentuano perciò le incomprensioni e i vivaci contrasti fra i detentori del potere e i dissenzienti, e si inasprisce la polemica fra gli anticlericali e i cattolici, che sarà uno degli elementi caratterizzanti della vita politica bolognese degli anni successivi e che si protrarrà sino alla fine del secolo, allorchè lo sviluppo del socialismo porterà ad un avvicinamento tra liberalismo laico e il confessionalismo."
LA GUARDIA NAZIONALE
Prima di narrare del periodo storico che va dall'unità d'Italia alla proclamazione di Roma capitale, consentiteci di spendere due parole sulla locale Guardia Nazionale, visto che di questo corpo si parla spesso, senza descriverne le competenze.
Orbene, la Guardia Nazionale era un corpo creato dalle istituzioni napoleoniche all'inizio del XIX secolo e mantenuto nelle primitive funzioni dello Stato pontificio (con alterne fasi di soppressione e successiva ricostituzione su basi praticamente identiche) svolgente funzioni di mantenimento e controllo dell'ordine pubblico. Al momento della cacciata da Bologna del Cardinal Legato il governo rivoluzionario provvisorio aveva congelato ogni istituzione politica e militare in attesa di meglio definire la collocazione territoriale delle province emiliano-romagnole, mantenendo quindi in funzione anche la Guardia Nazionale in questione.
Organizzata su basi paramilitari, la Guardia garantiva il servizio di pubblica sicurezza, al pari dei Reali Carabinieri, con la differenza che questi ultimi dipendevano dallo Stato ed erano composti da addetti in servizio permanente, la Guardia Nazionale dipendeva dal Sindaco, o dal soppresso Priore, ed era composta da persone comandate a svolgere compiti di sorveglianza, o di pattuglia, senza essere dei militari veri e propri.
La scelta dei componenti la Guardia Nazionale veniva effettuata utilizzando le liste dei cittadini abili al servizio, opportunamente approntate dal municipio e tenute costantemente aggiornate, e coloro che viniva comandati d'autorità a svolgere il servizio erano dei liberi cittadini che durante il giorno se ne stavano tranquillamente a casa a lavorare la terra, o a sbrigare altri lavori artigianali, fino a quando non ricevevano l'ordine di presentarsi a svolgere il turno di servizio, che raramente durava più di un giorno od una notte.
Terminato il servizio, che la legge prevedeva obbligatorio e gratuito, il cittadino poteva tornare alle sue occupazioni in attesa di una nuova chiamata.
Spesso succedeva che coloro che vinivano comandati per il servizio non si presentavano al dovere dando l'avvio ad un immediato procedimento disciplinare che prevedeva il prelievo coattivo del renitente e la condanna di salatissime ammende, fino ai casi più gravi di plurirenitenza che comportava l'associazione alle patrie galere per periodi più o meno lunghi di tempo. Esisteva, a questo proposito, un apposito Consiglio di Disciplina che esaminava i casi a lui sottoposti e deliberava le pene previste per gli indisciplinati.
La caserma anzolese della Guardia Nazionale era, fin dalle origini, nei locali del Municipio oggi occupati dall'ufficio servizi anagrafici ed era composta da due locali: uno adibito a camere di custodia (o più semplicemente prigione) e l'altro a deposito degli oggetti di casermaggio (fucili, divise, selle, finimenti, etc.). Le stalle che custodivano i cavalli della Guardia erano sistemate nel fabbricato che fino a pochi anni fa ospitava gli ambulatori dell'USL, sotto gli uffici tecnici comunali.
Fin dalle origini napoleoniche la Guardia anzolese era costituita da due compagnie di militi organizzati con gradi di tipo militare e mobilitabili immediatamente in caso di necessità bellica e difensiva, con un capitano che comandava ambedue le compagnie, le quali a loro volta erano comandate da due tenenti e da una serie di sottufficiali. Sopra a tutti, in qualità di unico responsabile della pubblica sicurezza, era posto il Sindaco al quale andavano indirizzate le istanze denuncianti violazioni della pubblica tranquillità. Spettava poi al capo della municipalità decidere se inoltrarle alle autorità bolognesi o se sbrigarle localmente avvalendosi della Guardia Nazionale.
Il compito prevalente di quest'ultima era il sorvegliare ilpaese e pattugliare continuamente le strade comunali, con ronde diurne e notturne, nonchè il prestare servizio di sicurezza durante le feste civili e religiose, le fiere, i mercati e tutte le altre occasioni che potevano creare grossi movimenti di gente in paese e nelle osterie del borgo.
C'era, inoltre,un piccolo drappello a disposizione del Sindaco per i casi dove occorreva un intervento immediato,e si svolgevano turni ben precisi per garantire la rotazione fra i cittadini comandati di servizio.
Questo organismo di vigilanza locale venne mantenuto in essere dal Governo sabaudo fino al 1870, circa, quando venne soppresso per consentire allo Stato di uniformare la vigilanza locale su basi nazionali, superando i molteplici e variegati istituti ereditati dai governi pre-unitari.
L'anno 1861 inizia ad Anzola con l'estensione su tutto il territorio comunale delle nuove classi elementari femminili e con l'assunzione di tre maestre incaricate di gestirle. Evidentemente, l'istituzione nel capoluogo di una classe femminile aveva avuto un buon successo e si provvide ad allargare il servizio nelle frazioni di S.Maria in Strada e S.Giacomo Martignone sotto lo sguardo vigile delle signore Maria Costa, Elena Baroni, Ernestina Zucchi, Maria Masetti e Franceschina Carpanelli nominate ispettrici scolastiche nel Consiglio comunale del 14 novembre di quell'anno. Inutile dire, e i cognomi lo testimoniano facilmente, che si trattava di mogli e figlie dei notabili locali più in vista interessati ad esercitare uno strettissimo controllo su ciò che veniva insegnato alle figlie degli anzolesi.
Questo ulteriore allargamento del servizio scolastico elementare porta a sei gli insegnanti stipendiati dal Comune, in ragione di un maestro e una maestra per il borgo capoluogo e le frazioni.Rispetto ai cessati ordinamenti pontifici va registrato un ulteriore allargamento del servizio scolastico a una progressiva laicizzazione dello stesso, anche se i Comuni della campagna bolognese contribuiscono notevolmente a frenare le direttive scolastiche del Governo sabaudo.
Un altro settore che i nuovi governanti curano parecchio è quello relativo all'ufficio statistica (o moderna anagrafe), ereditato dal governo pontificio con limitazioni notevolissime causate dalla volontà di quest'ultimo di sottoporlo alle indicazioni anagrafiche parrocchialie in esatta antitesi alle nuove direttive che impongono ai cittadini di servirsi dell'ufficio statistica per registrare nascite, morti, matrimoni e residenze, dichiarando civilmente non validi i certificati anagrafici parrocchiali.
Tutta la popolazione del nuovo stato italiano doveva essere in qualsiasi momento sotto controllo e gli obiettivi che il Governo intende raggiungere con l'accurato controllo dei cittadini sono veri e diversi fra loro, cominciando dalla coscrizione obbligatoria che necessita di un accurato elenco dei nati da inviare periodicamente ai distretti militari per potere formare le liste di leva per il regio esercito.
Poi, al pari del governo napoleonico, si intende lasciare ai Municipi il ruolo di unico riferimento per tutte le necessità sociali, amministrative e politiche che non coinvolgono i sentimenti religiosi della popolazione. Apoco a poco, si smantella quell'apparato pontificio che proprio sulla concentrazione degli aspetti civili e religiosi della vita pubblica basava la propria forza di potere.
Ed infine, il funzionamento dei nuovi Consigli Comunali necessita di elenchi di elettori eleggibili accuratamente aggiornati perchè il rinnovo di un terzo degli amministratori ad ogni sessione primaverile si basa proprio sugli elenchi di coloro che hanno diritto ad essere nominati consiglieri.
Gli anzolesi, però, hanno difficoltà ad adeguarsi alle direttive governative, perchè non sono abituati a servirsi di questo ufficio e non sono affatto intenzionati ad alimentare le liste per la leva, che sottraeva braccia utili al sostentamento della famiglia. Quindi, fanno orecchie da mercante agli inviti municipali e pongono il Comune nella difficile situazione di dover deliberare un'ammenda per coloro che non adempiono alle nuove prescrizioni.
Il 21 febbraio 1861 il Consiglio esamina la spinosa questione e il segretario puntualmente verbalizza:
"Proposta di applicazione di una multa ai mancanti degli'inviti all'Uffizio Comunale
Procedutosi dall'Uffizio Comunale affa formazione d'una regolare statistica della popolazione di questo Comune, non peranche potuta condurre a termine per mancanza dei documenti autentici da prodursi dalle singole famiglie ad onta dei repliacati inviti, mediante appositi avvisi pubblicati nelle debite forme; parimenti manca all'uffizio delle denunce di arrivi e partenze, per le quali pure sono stati repplicati gl'inviti, ed egualmente per le altre operazioni d'Uffizio ove richiedere il concorso dei Comunisti per denunce, indicazioni,etc., quindi per ottenere quanto possa occorrere per le operazioni d'Uffizio il sign. Sindaco Presidente ritiene indispensabile di applicare una multa a chiunque manchi agli inviti dell'uffizio senza legittimo motivo,rimettendo all'Eccelsa Intendenza Generale fissarne la cifra; il Consiglio essendo in piena cognizione di tale sconcio, ritiene indispensabile l'applicazione della multa suddetta..........."
A questo primo fallimento dell'ufficio statistica non sono estranei i parroci e gli esponenti politici maggiormente legati al vecchio regime, e se da un lato il clero fa di tutto per creare dei problemi al nuovo ordinamento politico e non intende affatto uscire da ruolo che ha svolto fino ad allora nei riguardi degli atti anagrafici della popolazione, dall'altro lato la parte più conservatrice e clericale della borghesia agita in continuazione lo spauracchio della coscrizione obbligatoria per fare fallire la creazione di un riferimento laico alla vita sociale del paese.Se i parroci intendono mantenere la Chiesa come principale riferimento degli anzolesi dal battesimo alla morte, sono validamente coadiuvati dai vecchi detentori del potere pontificio che usano, a tale scopo, proprio l'argomento che tocca maggiormente la sensibilità dei contadini e artigiani terrorrizzati dalla prospettiva di perdere l'aiuto dei figli a causa del servizio militare.
Durante la primavera del 1861 si ripropone con forza la necessità di incrementare l'economia con la istituzione di un mercato settimanale che favorisca l'interscambio commerciale con i paesi limitrofi ed aiuti l'agricoltura a vendere le eccedenze produttive delle nostre campagne. Da ormai vent'anni si svolge regolarmente la fiera delle merci e bestiami,ma non è possibile lasciare ad una manifestazione a scadenza annuale il compito di incrementare la stanca economia locale.
Una coalizione di interessi che spazia dai commercianti agli agricoltori, nonchè dagli artigiani alla borghesia terriera, esercita delle notevoli pressioni in Municipio affinchè il Sindaco si faccia promotore di un'azione tendente a portare anche ad Anzola il tanto sospirato mercato settimanale, al pari dei Comuni limitrofi, con funzioni di calmierazione dei prezzi e di incremento dell'interscambio commerciale con abitanti di altri paesi, anche se la mancanza di un posto fisso sul quale fare svolgere la manifestazione crea non poche perplessità agli amministratori e al Sindaco stesso. La fiera annuale si svolge all'interno della sede Municipale e non è realistico pensare che il Signor Pedrazzi conceda l'uso del cortile della Villa ospitante il Comune per il mercato settimanale, anche considerando il non trascurabile fatto che il proprietario non è affatto in sintonia con la gestione liberale del Municipio e non nasconde le sue antipatie verso il Regno Sardo e il Risorgimento in generale.
Quindi, si cominciano discreti sondaggi verso coloro che possiedono dei prati all'interno del borgo capoluogo al fine di dare una sede più comoda e dignitosa al tanto sospirato mercato settimanale, sperando che l'interesse economico prevalga sui tanti risentimenti politici e personali dei notabili anzolesi.
Si arriva così alla seduta del Consiglio comunale del 13 maggio, durante la quale si esamina la:
"Proposta di istituzione di un Mercato Settimanale nel Capo-Luogo Comunale".
Recita il verbale della seduta:
"Dietro richiesta di questo uffizio comunale all'Eccelsa Intendenza Generale, il Sign.Assessore Presidente (il Sindaco era assente ndr.) nell'intendimento di conciliare il comodo e l'interesse de' Comunisti, propone al Consiglio di istituire un Mercato nel giovedì di ogni settimana, ritenendo in tal modo di coadiuvare al Commercio,nella circostanza di che trovasi in costruzione una strada di congiunzione del Capo-Luogo con l'Appodiato di S.Giacomo del Martignone (l'odierna via Magenta) indi con S.Giovanni in Persiceto; ed altra sdrada denominata via Lunga in sistemazione,facente capo dal Bordo di questo Capo-Luogo che mette a Crespellano, Zola Predosa, Bazzano etc; sopraggiuntovi ancora di avere ottenuto una Casa di fermata nella Ferrovia in prossimità di questo Capo-Luogo Comunale, quindi questo Capo-Luogo trovasi in un centro di circolazione da progredire nel Commercio e di ritrarre molti vantaggi.
Il Consiglio ritenendo anch'esso non lieve vantaggio un Mercato Settimanale in questo Capo-Luogo Comunale, essendo in un centro di discreto commercio fra S.Giovanni Persiceto, Castel Franco, Bazzano, Bologna etc., ed essendo qusto Capo-Luogo costantemente provveduto di Locanda, Stallatico, Caffetteria, Farmacia, Drogheria, Salsamenteria, Macelleria, Mercerie, Pizzicherie, etc., con sufficenti Porticati, ed essendo ancora desiderio generale de' Comunisti, ad unanimità dei voti viene approvata la proposta del Sign.Assessore Presidente."
Sembra tutto fatto, invece il mercato dovrà attendere ancora prima di attuarsi perchè la ricerca di un prato da adibire a tale uso sarà più difficile del previsto.
GLI ANNI SUCCESSIVI ALL'UNITA D'ITALIA
Quando il Parlamento di Torino proclama lanascita del Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II diventa re d'Italia "per grazia di Dio e volontà della Nazione", la lista degli elettori anzolesi è ristretta ad un numerolimitatissimo di individui e il potere è esercitato da coloro che, in larga parte, lo esercitavano con il regime precedente. La legge elettorale sarda prevede che per potere esercitare il diritto di incidere nella vita politica e amministrativa occorre pagare un "censo" (tassa sulle proprietà e sullelibere professioni) di almeno 40 lire annue per essere elettori politici e di lire 10 per essere elettori amministrativi.
Di conseguenza, vista l'enormità della cifra richiesta dalla famigerata barriera del censo, lalista politica del Comune di Anzola contava solo 24 individui (maggio 1861) in possesso del diritto di contribuire all'elezione di un Deputato al parlamento nazionale (prima nella circoscrizione di Bologna, poi in quella di S.Giovanni in Persiceto), mentre gli aventi diritto ada eleggere i Consiglieri Comunali aumentavano ad un centinaio, vista la minor tassa censuaria richiesta in questo caso.
La configurazione del nuovo stato unitario diventa così una dilatazione del vecchio regno piemontese e non una originale entità istituzionale rispondente alla volontà di unificare tante popolazioni diverse fra loro. La legge elettorale riconsegna il potere ai notabili che lo hanno fin qui esercitato e vengono lasciati cadere i progetti di un assetto politico-amministrativo rispettoso della diversità delle varie popolazioni componenti il nuovo regno. Viene, al contrario, attuato un rigido accentramento che consegna ai Prefetti ogni controllo sulla vita politica ed amministrativa locale.
La situazione economica risente fortemente delle disparità esistenti nei territori del nuovo stato e l'allienamento dell'economia italiana alla crescente industrializzazione di paesi come la Francia e l'Inghilterra richiede il superamento di vincoli legislativi e ritardi tecnici che saranno presi in esame dopo il consolidamento del giovane regno.
I primi anni unitari vedono il rapido logorarsidell'immagine e della popolarità dello Stato, causa la non volontà di cambiamento dei nuovi governanti e il persistere delle disparità sociali ed economiche vigenti negli anni precedenti, il cui risultato più evidente rimangono il brigantaggio meridionale e le sollevazioni contadine nel nord Italia.
Gli anni successivi al 1861 sono anni difficili, sotto l'aspetto politico e sociale, perchè amalganare tanti staterelli e tante realtà diverse in un unico Stato unitario risulta molto più complesso del previsto. Nei mesi che intercorsero fra il giugno 1859, con la caduta dei vecchi regimi politici settentrionali, e la primavera del 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, varie furono le ipotesi prese in considerazione per procedere alla creazione di un unico Stato nazionale. C'era chi prospettava l'ipotesi di una confederazione fra i vari stati regionali, sulla falsariga della vicina Svizzera, e chi prospettava la pura e semplice annessione al regno di Sardegna, con successiva trasformazione di quest'ultimo in Regno d'Italia. Molto realisticamente fu seguita questa seconda ipotesi, per una serie di ragioni sulle quali ne primeggiano tre: la prima, che creando una federazione su basi regionali si sarebbe protratta nel tempo la divisione socio-politica allora esistente, con successive difficoltà enormi nel creare una unica economia di Stato e unica economia nazionale; la seconda che creando una federazione si sarebbe difficilmente rinnovata la classe politica dominante e i vecchi detentori del potere avrebbero continuato a governare in nome di Vittorio Emanuele II con gli stessi critere usati in precedenza; la terza che una federazione necessitava di una forte e spiccata identità nazionale che, nei momenti di forte tensione internazionale o di grandi difficoltà interne, sapesse fare prevalere gli interessi nazionali su quelli particolari, requisito difficilmente ascivibile all'Italia appena uscita dalla seconda guerra di indipendenza.
Quindi, divenne obbligata la strada dell'annessione al Regno Sardo degli staterelli sciolti dalle guerre del 1859-60 e il successivo procedere (in modo realistico, ma anche molto rischioso) alla estensione su tutto il territorio nazionale dell'unica amministrazione pubblica e politica che era al passo con i tempi, anche se la piemontesizzazione forzata delle varie popolazioni non mancò di sollevare crisi e rifiuti durati ben vent'anni e sovente soffocati con la repressione e l'intervento dell'esercito.
Certamente l'opera di estensione della realtà piemontese su tutto il territorio fu una violenza a popoli ed amministrazioni che si videro imporre dall'alto un ordinamento a loro estraneo e difficile da applicare immediatamente e in modo acritico, anche se questa forzosa ed autoritaria scelta politica fu l'unica realisticamente possibile davanti a tante diverse realtà. Occorre considerare, anche se con i dovuti distinguo, che non era possibile imporre immediatamente un unico indirizzo economico allo Stato, una unica pubblica amministrazione locale e statale, una unica unità monetaria, un unico esercito e tutte le altre istituzioni dello Stato e se non si ricorreva alla autorità impositiva e ai decreti-legge, nel tentativo di superare gli interessi campanilistici e regionali creati dai decaduti governi. Non era, inoltre, realisticamente possibile ipotizzare che i burocrati pontifici, granducali o borbonici diventassero immediatamente degli zelanti funzionari sabaudi se non si fosse proceduto alla applicazione forzosa dei nuovi ordinamenti.
tutto ciò diede vita ad una crisi violentissima di rifiuto, congiuntamente alla resistenza passiva di larghe frange di notabili privati del potere, che creò notevoli difficoltà al nuovo Stato e rallentò notevolmente il processo di integrazione unitaria dei territori italiani, ma è anche vero che così facendo si accelerarono le tappe di unificazione delle tante realtà locali in una unica amministrazione centrale e statale.
Grandi responsabilità, nello scontento generale della povera gente verso il nuovo regno, vanno ricercate in coloro che avevano accelerato la sollevazione popolare promettendo un utopistico cambiamento sociale ed economico pur sapendo che il potere sarebbe rimasto nelle stesse mani anche dopo l'avvento dello Stato unitario, nonchè verso quegli esponenti dei vecchi regimi che cercarono impossibili restaurazioni strumentalizzando lo scontento dei ceti meno abbienti che vedevano, con rabbia, sfumare la possibilità di un miglioramento ed identificavano sempre più il nuovo regno con l'esattore delle tasse e con la coscrizione obbligatoria. Se al nascere del fenomeno del brigantaggio meridionale non sono estranei i decaduti reali borbonici, alle difficoltà delle nostre parti non sono estranei gli ex funzionari pontifici e il clero in generale.
Una testimonianza dell'Anzola post-unitaria,e delle condizioni dei ceti meno abbienti, la si ha sfogliando la "La nota dei fatti delittuosi accaduti ad Anzola dal giugno 1859, epoca del movimento nazionale, a tutto il dicembre 1861" redatto dalla locale Guardia Nazionale.
Vi si legge che su un totale di 80 "fatti delittuosi" sono ben 23 i furti più o meno gravi, a cui vanno aggiunti 2 furti del filo di rame usato per costruire la nuova linea telegrafica attraversante il borgo capoluogo. Seguono 9 risse per motivi di gioco e ubriachezza, 2 diserzioni di giovani arruolati in base alle nuove leggi militari e ben 5 risse originate da motivi politici inerenti al nuovo assetto istituzionale dello Stato, suddiviso in 2 aggressioni a un noto esponente della borghesia filo-papale, uno da insulti di cittadini alle insegne sabaude del Comune quando vennero issate al posto del vecchio stemma pontificio , 2 da proteste verbali e polemiche nei confronti del nuovo assetto statale da parte di cittadini contrari alle nuove istituzioni. Vi sono inoltre, altre cosucce minori legate a girovaghi, vagabondi, cantastorie non graditi alle autorità municipali.
SI CONSOLIDA IL NUOVO STATO UNITARIO
L'anno 1862 vede l'emergere delle prime difficoltà inerenti il reperimento del territorio da adibire a sede del mercato settimanale, al di là della sicera volontà degli amministratori di istituire questo importante volano espansivo della ristagnante economia locale. Nella seduta di Consiglio del 1 luglio, il Sindaco è costretto ad informare i colleghi che i possidenti anzolesi non sono disposti nè a vendere nè ad affittare i terreni adatti a tale scopo, quindi è gioco forza lasciare perdere o intensificare gli sforzi (...e alzare il prezzo dell'affitto...).
Ma i Consiglieri Comunali non sono affatto disposti a tollerare le bizze delle famiglie Baroni e Pedrazzi, proprietarie dei terreni adatti per ilmercato e cocciutissimi antiliberali e antirisorgimentali, intravedendo in questa indisponibilità a trattare la lunga mano della componente più filoradicale della borghesia locale e procedono alla soluzione drastica e forzosa del problema posto in discussione. Nel verbale relativo a quell'oggetto leggiamo che:
"...Viene nuovamente dichiarato oggettodi pubblica utilità con voti affermativi bianchi n.16 e neri contrari nessuno.
Sentito il rifiuto de' possidenti contermini per la cessione del terrenonecessario pel mercato settimanale stesso, e dovendo quindi provvedere del medesimo colla possibile sollecitudine; il Sign. Sindaco Presidente propone al consiglio di procedere alla espropriazione forzosa in via straordinaria e d'urgenza, essendo oggetto di pubblica utilità, dietro autorizzazione dell'Eccelsa prefettura, e di scegliere il locale più adatto nelle Proprietà dei Signori:
Baroni Eredi del fu Pier Giovanni Baroni (terreni dove oggi c'è il gruppo di case di via F.lli Ferrari, ndr);
Pedrazzi Vincenzo (oggi la parte sud della piazza Giovanni XXIII, fra il municipio e la scuola materna parrocchiale, ndr)
Zucchini, Cumulo Dotale (terreni a nord della via Lunga,ndr)
Volta Maddalena in Baroni Antonio (piazzetta di fianco all'edificio della locanda)"
Il verbale ci dice che fu fatta una breve discussione sui pro e contro dei terreni in questione e, dopo una complicata votazione con palline bianche e nere, fu scelto di espropriare il terreno della Sig.ra Volta, con 12 voti favorevoli e 4 contrari. Detto terreno aveva il pregio di essere posto in posizione molto favorevole e di non essere molto grande, a cui andava aggiunto il non secondario fattore di essre posto sulla via Emilia.
I Consiglieri Comunali valutarono molto attentamente la idoneità del terreno di proprieta della signora Volta ma, probabilmente, valutarono altrettanto attentamente i sentimenti politici del di Lei marito, quell'Antonio BAroni che più di una volta aveva offeso il nuovo corso politico delle cose e che il giorno del referendum aveva baruffato in Municipio incorrendo nelle cure della Guardia Nazionale per aver insultato gli amministratori comunali dicendo che erano dei disonesti.
Anche gli altri terreno erano situati in posizioni molto favorevoli per il mercato settimanale ed erano di proprietà di note famiglie filo-clericali, con differenza però che un conto era cozzare frontalmente contro potentati come i Pedrazzi e i Baroni e un conto era espropriare il terreno di un ex locandier che, al di là di notevoli strepiti, non avrebbe potuto molto contro le autorità municipali, visti anche i suoi precedenti politici.
A salvare la signora Volta ci pensò lsa lentezza della burocrazia sabauda e il contratto che verrà stipulato dal Comune con il signor Pedrazzi Vincenzo per la cessione del fabbricato e dei terreni adiacenti alla residenza municipale, della qual cosa riferiremo in seguito.
E' di quegli anni l'origine di un curioso modo di indicare le monete da cinque lire, che ancora oggi viene usato come espressione dialettale.Dalle nostre parti per indicare una moneta da cinque lire si dice " una moneta da un scud" e per indicare una moneta da cinquecento lire si dice "zaint scud"(cento scudi). Ebbene, dovete sapere che lo scudo romano era lamoneta usata nei territori dello stato pontificio sia prima della Rivoluzione francese, e delle successive dominazioni napoleoniche, sia dopo la restaurazione del 1815, ed era molto popolare come divisione monetaria in tutti i ceti sociali al pari della sua divisione centesimale, i bajocchi ( e qual'è quel bolognese che non indica il denaro con i "bajucc"?). Basti dire che il governo napoleonico obbligò gli enti pubblici ad usare, in tutti gli atti pubblici, la lira coniata a Milano, ma non riuscì mai a soppiantare totalmente lo scudo papale al punto che molti bilanci comunali venivano conteggiati con ambedue le unità monetarie. Dopola restaurazione lo scudo ridivenne la moneta ufficiale fino alla proclamazione del regno d'Italia e sopravvisse, fino al 1870 e alla definitiva cancellazione del dominio temporale dei Papi, sia all'interno di ciò che rimaneva dello Stato pontificio sia in larghe parti dei territori delle ex legazioni emiliano-romagnole.
L'uso corrente dello scudo papale, accanto alla lira sabauda, rimase intatto fino al punto che larga parte dei registri notarili riguardanti le vendite, le ipoteche, e i prestiti fatti fino al settembre 1870, hanno l'indicazione delle due unità monetarie, benchè lo Stato italiano non fosse molto d'accordo su questo modo di operare. Soltanto dopo la breccia di Porta Pia,e la proclamazione di Roma capitale,lo scudo cessò totalmente di circolare nei territori delle ex Legazioni.
Siccome il valore di cambio fra la moneta romana e al lira italiana era in ragione di 5 lire e 20 centesimi (circa) ogni scudo papale, le monete da 5 lire del regno venivano popolarmente indicate come "monete da un scud" memori del vecchio cambio legale, con la protrazione nel tempo di questa curiosa indicazione poi svalutata nei "cento scudi" delle monete da 500 lire.
Conclusa la prima parte del processo unitario, inizia un urto frontale fra Stato e Chiesa che in breve tempo assume aspetti grotteschi da ambo le parti.
E' uno scontro che vede lo Stato utilizzare ogni arma politica e poliziesca per imporre la propria autorità e la Chiesa resistere con ogni mezzo alla progressiva laicizzazione della vita dei paesi e cercare di mantenere intatta l'influenza del clero sulle comunità locali e parrocchiali.Si agitano fantasmi di altre epoche e si riesumano vecchie e stantie polemiche anticlericali: ma in gioco c'è il "potere" e ogni argomento diventa buono purchè serva a una delle cause in atto.
Durante la primacera del 1862 lo Stato, esasperato dal continuo logorio politico che viene attuato dal clero, minaccia apertamente di incamerare le proprietà ecclesiastiche degli ordini religiosi e di imporre forti limitazioni all'opera pastorale di questi ultimi. La reazione della Chiesa è immediata e solleva non poche preoccupazioni negli organismi del governo sabaudo, che provvedono ad informare i Sindaci di cosa sta nuovamente tramando il clero emiliano ai danni dello Stato nato dai moti risorgimentali.E' datata 31 marzo la comunicazione inviata al Sindaco di Anzola e dice testualmente:
"Viene supposto che in più luoghi alcuni Parroci ed altrimenti possessori dei beni ecclesiastici, nell'ipotesi di un possibile incameramento, abbiano proceduto a lunghe affitanze d'essi, ed anzi abbiano direttamente, o permesso ai conduttori, d'atterrare in essi piante di ogni genere, e specialmente di alto fusto oltre le esigenze della cultura e dell'usufrutto legittimo nell'intento di ricavare dai medesimi quel maggior lucro che loro fosse possibile.
Viene pure supposto che alcuni Cancellieri del Censo incaricati di accertare i patrimoni e le consistenze delle proprietà non siano stati accurati troppo ed asatti nello accertare la consistenza e il valore dei Patrimoni ecclesiastici di pubblica collazione, attribuendo loro un valore, che sia in parecchi luoghi lungi assai dall'eguagliare quello che realmente hanno.
Lo scivente dietro superiore direzione ricevuta si rivolge all'Egregio Signor Sindaco di Anzola dell'Emilia onde si compiaccia di fare le più accurate indagini in proposito, anche per constatare l'entità delle sostanze stabili, o altrimenti fruttifere appartenenti a qualsiasi parrocchia, o costituenti benefici acclesiastici che non sono di privata proprietà, cercando altresì d'accertare quale siane il presunto loro reddito.
Egli (l'autirità governativa che ha commissionato l'inchiesta per tutta la pianura bolognese,ndr) attende colla maggiore sollecitudine possibile le notizie richieste dalla sperimentata cortesia della S.V. sul qual conto si pregia di raffermarLe la sua stima
Il giudice
Lettera firmata"
Assistiamo così al crescere di uno scontro frontale nel quale Stato e Chiesa utilizzano ogni mezzo pur di imporre la prevalenza dell'uno sull'altro, con i parroci che inducono gli esponenti risorgimentali a ritrarre il loro operato in punto di morte e lo Stato che risponde incrementando le indagini poliziesche sui parroci stessi. I problemi che la vecchia classe di potere creava in quegli anni alle nuove istituzioni gorvernative non si limitavano ai fatti verbali, ma assistiamo ad una vera e propria cospirazione che non tralasciava occasione per manifestarsi. Il 20 maggio 1862, avuto sentore del lavorio politico che i parroci svolgevano contro il nuovo ordinamento istituzionale, la Regia Delegazione Mandamentale di pubblica sicurezza di S.Giovanni in Persiceto scriveva al Sindaco di Anzola:
"Prego la S.V.Ill.ma di volere con tutta maggiore sollecitudine, trasmettere l'elenco dei parroci di codesto Comune, indicando in pari tempo quale sia la loro rispettiva condotta politica, quali i loro sentimenti intorno al presente ordine di Nazionali Istituzioni, e finalmente quali di essi siano maggiormente ritenuti avversi al Nazionale Governo e capaci tanto dal pergamo come in confessione ed in generale nell'esercizio del loro ministero di eccitare le popolazioni affidate alla loro cura spirituale ad avversare il Governo stesso.
Il Delegato di P.S."
L'attività antigovernativa del clero assume aspetti esasperati che non sfuggono all'attenzione delle autorità di polizia, che chiedono spiegazioni al Sindaco Arnoaldi Veli riguardo ad un episodio accaduto ad Anzola:
"Alla Regia Delegazione Mandamentale di Pubblica Sicurezza di S.Giovanni Persiceto
Anzola 28 marzo 1862
E' voce generale, che il pittore fu Gaetano (omissis,ndr) di questo Comune nell'ultima confessione agli estremi di sua vita nel giorno 6 volgente mese, dovette ritrattarsi alla presenza di due testimoni e del Parroco Confessore di quanto avea operato a favore dell'attuale Governo, uno dei testimoni dicesi generalmente Pietro Biagi, giornaliero, domiciliato ad Anzola e l'altro si ignora ancora.
Saranno praticatele più accurate indagini in proposito, riferendone il risultato
Il Sindaco
Astorre Arnoaldi Veli"
Fra l'inverno 1861 e la primavera 1863 registriamo il maggior punto di frizione fra il nuovo ordinamento e gli esponenti della vecchia classe politica, che non tralasciano occasione per dimostrare l'inefficenza del nuovo governo e per screditare la laicizzazione degli apparati amministrativi dello Stato. Il Governo usa l'arma della polizia e della Prefettura, l'opposizione clericale e filo pontificia usa i parroci come strumenti di politica attiva e il risultato è uno scontro aperto che vede la strumentalizzazione dei sentimenti religiosi dei cittadini come elemento di politica attiva militante.
A questo proposito è del 14 marzo 1862 una richiesta al Sindaco di Anzola:
"Addì 14 marzo 1862
oggetto: chieste informazioni sul conto del sacerdote Don Lodovico Sermasi
In relazione a Superiore richiesta urge al sottoscritto di procurarsi accurate informazioni sulla condotta morale e politica del Sacerdote Don Lodovico Sermasi Capellano di S.Giacomo del Martignone, al quale parrebbe stata conferita la Parocchia di San Martino del Tignano con Bolla della Curia Arcivescolvile di Bologna.
Egli è perciò che lo scrivente si rivolge alla sperimentata cortesia del Sign. Sindaco d'Anzola, con preghiera di volergli somministrare le informazioni suddette in via riservata nel più breve termine possibile.
Pel Delegato Man.le
firma illeggibile"
Molto diligentemente il Sindaco rispose il 28 marzo succesivo riferendo le indicazioni richieste, non rilevando nessuna eccezione nel comportamento del sacerdote in questione.
Così a colpi di inchieste inquisitorie da una parte e di attività antigovernativa dall'altra, andava avanti la vita dell'Anzola post-unitaria di quegli anni difficili e tribolati e a nulla era valsa la certezza che il presente stato delle cose non lasciava spazio ad improbabili, ed ormai impossibili, ritorni degli antichi regimi.
I tentativi di rivalsa e la demonizzazione degli avversari politici avevano portato ad una situazione esplosiva che causò un intervento del Ministro Bettino Ricasoli teso ad allentare il più possibile la tensione e a smorazare i toni della contrapposizione fra Stato e Chiesa, sollevando nel contempo l'attenzione su una possibile insurrezione armata antigovernativa ed informando di ciò i Prefetti affinchè vigilassero attentamente.
La vita ad Anzola, in quel lontano 1862, non era unicamente incentrata sui problemi politici ed esistevano altri fatti che rendevano ugualmente importante quel primo anno unitario e post risorgimentale.
Intanto, il 1 gennaio gli anzolesi ottennero la tanto sospirata fermata del treno nel capoluogo e, con tempismo degno di altre cause, iniziarono le lagnanze e le contestazioni nei confronti dell'amministrazione delle ferrovia, dimenticando le difficoltà e gli ostacoli superati per ottenere una fermata ad Anzola del treno. E' ancora compito del Sindaco Arnoaldi Veli farsi carico di segnalare alle ferrovie dell'Italia Centrale l'accaduto che ha sollevato il malumore dei suoi concittadini con una letterea del 20 gennaio 1862:
"All'Ill.mo signor Direttore delle Ferrovie dell'Italia Centrale. Milano.
Ill.mo Signore
grato il Municipio e la popolazione di questo Comune al Consiglio d'Amministrazione delle Ferrovie dell'Italia Centrale, a codesta direzione ed al Ministero dei Lavori Pubblici per la benigna concessione della riapertura della Stazione in questo Capo-Luogo Comunale, di cui sarò a rendere pubblica notizia, onde ottenere il maggior possibile concorso.
Duolmi dover dar corso ad un reclamo inoltratomi dai viaggiatori di Anzola e di altri abitanti di questo Borgo per non aver avuto luogo la fermata già fissata del Treno n.60 la sera di sabato 18 volgente mese per fatto unicamente de' Macchinisti e Conduttori, tutto che la Guardia dato il seganle di fermata, ed i viaggiatori di Anzola dovettero discendere alla Stazione di Samoggia, retrocedendo tre miglia a piedi, colla neve cadente e il gelo.
Non dovendo passare inosservato simile insulto alla popolazione ed anche al Municipio di Anzola, rendo ciò ostensibile a codesta Direzione per norma opportuna di quanto reputasse praticare in proposito.
Nell'incontro ho l'onore di rassegnarmi
Il Sindaco
Astorre Arnoaldi Veli"
Dopo questa poco simpatica disavventura ferroviaria di alcuni maggiorenti locali, che dovevano essere parecchio importanti se indussero il sindaco a scrivere una risentita lettera ai responsabili delle ferrovie, arrivarono durante l'estate le Regie truppe dell'esercito per allestire un campo di esercitazioni e istruzioni jmilitari nei prati di Anzola. Questi ultimi "prati di Anzola" fronteggiavano il lato sud della via emilia dall'incrocio con l'odierna via Baiesi fino a Lavino di Mezzo e si estendevano fino alle tenute dette "del Fojano" basti dire che la strada che conduceva dalla via Emilia fino a quest'ultima zona , con villa omonima, era indicata come via Fojano o via Prati.
L'allestimento del campo militare mobilitò l'amministrazione comunale fin da giugno e richiese l'adattamento di un locale del Municipio in ufficio postale provvisiorio al servizio del personale militare addetto al campo. Fu anche necessario aumentare le fermate del treno al fine di favorire il raggiungimento del paese da parte delle truppe e del materiale militare che viaggiava con esse.
Infine, visto che il campo militare venne effettuato in piena estate, il Comune si preoccupò di evadere le domande di coloro che si improvvisarono venditori di bibite intravedendo una fonte di guadagno nell'attività del campo.Il numero di questi ultimi raggiunse un totale da fare invidia al numero di militari stessi, costringendo il Municipio a correre ai ripari e regolamentare la vendita di bibite al fine di evitare concorrenzialità esasperate da parte degli improvvisati commercianti.
Fu rapidamente approntata una licenza provvisoria che prescriveva:
"Regno d'Italia
Provincia di Bologna
Il Sindaco del Municipiodi Anzola
Permette al Sign........ di esercitare vendita precaria ed ambulante di bibita LIMONATA soltanto nel Campo Militare d'Istruzione, in Anzola,lungo il corso delle Esercitazioni del corrente anno, dipendentemente dagli ordini a disposizione qualunque del Comando Militare del Campo.
Dalla Residenza Municipale 9 luglio 1862
Il Sindaco
Astorre Arnoaldi Veli"
Vennero autorizzati i signori:
Gaetano Rizzoli del fu Carlo di Bologna
Caneti Giuseppe del fu Mauro di Bologna
Federico Reati di Giuseppe di Bologna
Alessio Cervellati di Anzola
Facci Zama di Anzola
Bettazzoni Raffaele di Anzola
Biagio Masi e Raffaele figlio, di Anzola
Mignani Emilio di LAvino di Mezzo
Visto il numero dei venditori di bibite, presumiamo che la limonata fresca non mancò di certo agli accaldati militari del campo d'istruzione e, con il profumo della limonata, finisce questa piccola cronaca dell'anno 1862 ad Anzola.
Aree Tematiche:
Storia locale