La storia e l'ideale
Dalla situazione economica dell'Italia pre-unitaria alla nascita e formazione delle prime Cooperative.
Nel periodo 1840-50, alla vigilia dell'unità, l'Italia non era al passo degli altri paesi europei; lo sviluppo della rete ferroviaria era ancora agli inizi, il commercio interno tra i vari Stati meno sviluppato di quello con l'estero, i residui e i vincoli feudali, specie nel Mezzogiorno, assai pesanti e ingombranti.
Tuttavia lo sviluppo economico dell'Italia in senso borghese e mercantile era ormai avviato e non si poteva più tornare indietro: il suo inserimento nel mercato internazionale e nell'europa del libero scambio si presentava ormai come una via obbligata.
Ciò significava peraltro che la nazione, non ancora unificata, si trovava comunque ad essere esposta ai rischi e alle fluttuazioni cicliche della congiuntura e della economia capitalistica, e che i settori più deboli e arretrati della sua struttura erano sottoposti alla rude concorrenza del mercato, per cui l'arrivo di merci straniere sulla piazza italiana determinava bruschi contraccolpi.
Questo era soprattutto il caso dell'agricoltura, il cui andamento, dall'inizio del secolo 1850, fu caratterizzato da una curva decrescente dei prezzi, in particolare di quello del grano. A questa tendenza al ribasso le aziende di tipo capitalistico o più attrezzate e meglio ubicate, cercarono di riparare operando una conversione colturale in favore di colture più remunerative e a carattere industriale, utilizzando in misura maggiore quella mano d'opera salariata che la crisi della piccola proprietà rendeva disponibile e a buon mercato.
Ciò accadde in Lombardia, ma soprattutto in Emilia, dove l'allevamento del bestiame e la trasformazione industriale dei prodotti delle terre si svilupparono in maniera considerevole. Nel solo Bolognese, nel 1845 i "braccianti", salariati agricoli pagati a giornata, erano già 45.000, altrettanti quanti i mezzadri e gli affittuari
Il 1848 sarà l'anno delle rivoluzioni politiche e sociali nell'Europa continentale.
La crisi economica e in particolare quella agricola provoca chiusura di fabbriche, riduzioni dei salari e disoccupazione. Le misere condizioni dei lavoratori,aggravate dal diffondersi di epidemie, trovano sfogo in moti rivoluzionari che a Parigi portano operai, borghesi ed intellettuali a combattere insieme sulle barricate.
La rivoluzione si estende: insorgono Vienna, Budapest, Praga.
In Italia si avranno moti a Palermo, Napoli, Milano, Venezia, ma il carattere di scontro di classe, si aggiungerà e si sovrapporrà il carattere di moti liberal-nazionali.
Nel moto quarantottesco, e non a caso l'espressione "fare quarantotto" è rimasta nel gergo popolare come sinonimo di rivoluzione e disordine, non confluirono soltanto le impazienze e le aspirazioni borghesi e dell'intellettualità, ma anche i rancori dei contadini ridotti alla condizione di "braccianti" della crisi economica.
Il moto raccolse il disagio di una vasta fascia popolare, non ancora proletaria, ma neppure più esclusivamente plebea in cui, sotto il pungolo della crescita e della disoccupazione, balenavano a tratti fermenti e manifestazioni di rivolta e si facevano luce i sintomi di un'elementare coscienza rivoluzionaria, i primi brandelli di coscienza di classe.
All'appuntamento europeo del 1848 l'Italia giungeva non solo con le agitazioni dei suoi borghesi e dei suoi intellettuali, ma anche con i rancori e con le attese del suo popolo.
Evidentemente non è un caso che la prima Cooperativa di consumo in Italia nasca nel 1849, insieme alla Società Operaia di Pinerolo, vicino Torino.
Gli anni successivi saranno tutto un fiorire di Società Operaie, Socità di Mutuo Soccorso, Cooperative di consumo e di produzione.
Queste prime associazioni di lavoratori legati da comuni interessi e da comuni ideali, ancor prima dell'unificazione, si preoccuperanno delle condizioni materiali dei soci operai, ma anche dell'emancipazione culturale dei lavoratori, della diffusione dell'istruzione popolare, organizzando con la stessa tenacia e lo stesso entusiasmo sia il Magazzino di previdenza della Società Operaia di torino (1854), sia una Scuola di Musica strumentale della stessa Società Operaia di Torino (1855).
Così, mentre ad Imola agisce clandestinamente la Società operaia di Mutuo Soccorso che, ispirandosi ad ideali moderati, si proponeva di preparare gli animi all'unità e all'indipendenza dell'Italia (1856), a Voghera il Congresso delle Società Operaie richiede un intervento legislativo per l'introduzione dell'istruzione obbligatoria (1857).
A queste prime associazioni operaie si legano anche i mazziniani nella continua ricerca di rapporti con le forze popolari, le uniche che avrebbero potuto assicurare il successo al movimento rivoluzionario d'indipendenza.
Mazzini aveva intuito che solo creando nuove fonti di capitali, di produzione e di consumo e facendole derivare dalle associazioni operaie, si potevano fronteggiare i crescenti problemi economici:
- Il rimedio alle vostre condizioni è l'unione del capitale e del lavoro nelle stesse mani.
Il vostro avvenire è nella vostra emancipazione dalle esigenze d'un capitale arbitro di una produzione alla quale rimane straniero.-
(G.Mazzini in Dei doveri dell'uomo)
Ma egli non comprese il cambiamento più importante che si stava verificando all'interno della costruzione della nuova nazione Italiana: il passaggio dai metodi di produzione artigianale alla fabbrica, la trasformazione del popolo in proletariato, insomma non comprese l'avvento della rivoluzione industriale che, per quanto in ritardo, giungeva anche in Italia.
Al proletariato emergente, alla nuova massa di lavoratori, già orientata verso ideali di trasformazione sociale, non poteva più bastare la supremazia della questione nazionale rispetto alla questione sociale, concetto cardine questo, invece, delle teorie del Mazzini.
Infine il grande evento si compì: il 4 marzo 1861 il Parlamento subalpino proclamò solennemente l'unità d'Italia.
A renderla possibile avevano contribuito una serie di eventi e un intreccio di forze contrastanti quali raramente si manifestano simultaneamente nella storia e che, quando ciò accade, danno a chi li rievochi l'impressione di una forzatura al ritmo normale della vita collettiva.
Ma tutte le forzature e tutte le accelerazioni hanno un loro prezzo ed anche l'unità d'Italia ebbe il suo.
Il prezzo dell'unificazione fu soprattutto politico e va considerato come una conseguenza del modo in cui l'unificazione stessa si era realizzata.
Tacitata sin dall'inizio l'iniziativa democratica e garibaldina, la struttura del nuovo Stato si viene configurando più come una dilatazione del vecchio Piemonte che come un organismo politico nuovo e originale.
Vengono lasciati cadere i progetti di un assetto amministrativo basato sull'autonomia delle regioni e sul decentramento, elaborati dal Farini e dal Minghetti, e venne per contro adottato un sistema di rigido accentramento, che rendeva i prefetti arbitri della vita locale.
Anche la legge elettorale estesa a tutto il paese fu quella in vigore nel Piemonte, il già ristretto sistema censitario ne risultò accentuato e il voto divenne il privilegio di pochi notabili.
Quanto alla situazione economica del paese, è indubbio che l'attività produttiva dell'Italia unificata è ben lontana dal raggiungere lo svolgimento che essa ha in altri paesi.Un vario incrocio di fattori contribuisce alla desolata situazione: i regolamenti statali e municipali che inceppano le fabbriche e gli scambi, le imposte, le tariffe doganali, l'imperfetto ordinamento dell'istruzione tecnica, gli ostacoli all'accumulazione dei capitali e allo svolgimento del credito, e ancora l'ignoranza delle classi lavoratrici,l'incompletezza delle comunicazioni.
Lo stato italiano nasceva così con una grande povertà di strutture e una forte impronta burocratica e censitaria e alla grande maggioranza dei suoi nuovi cittadini esso appariva come impersonato nell'agente delle tasse e nella coscrizione militare obbligatoria.
Da qui la sua rapida "impopolarità", tanto più acuta quanto più grandi erano state le speranze suscitate dal generale rivolgimento politico avvenuto.
Il divorzio tra governanti e governati, tra élite e masse, si manifestò sin dai primi anni di vita dello Stato unitario e si espresse nell'Italia meridionale, la parte più derelitta del paese, nella forma tradizionale e disperata del brigantaggio; nel Nord invece con violente e diffuse sollevazioni contadine.
All'inizio del 1869 le campagne emiliane furono scosse da un vasto moto popolare, che ebbe origine dall'introduzione dell'imposta sul macinato.
Il movimento dei contadini emiliani rapidamente acquistò, in quei giorni, i caratteri e le forme della rivolta. Non fu una rivolta democratica, diretta contro i residui feudali nelle campagne, tuttavia conteneva un germe di avvenire e si convertì, da impresa retriva, in un fatto di progresso e di liberazione.
Si tenga presente che in emilia, fino all'Unità, si era pagato un dazio di consumo sulle farine, il che comportava, in sostanza, gli stessi effetti, ma evitava la forma più odiosa del pagamento all'atto della macinazione.
Così il governo italiano, allorchè pretese la riscossione dell'imposta sul macinato, dovette sembrare ai contadini del bolognese più esoso ed oppressivo del governo pontificio, al quale pensavano con un rimpianto che la propaganda dei clericali non mancava di ravvivare.
Sin dal mattino del 1 gennaio 1869, anno di entrata in vigore delle tasse, nelle campagne ribolle il furore contro l'imposta, contro i mugnai, contro gli amministratori e gli impiegati comunali, che rappresentano, agli occhi del popolo, l'iniquità della legge.
Le forme in cui ha origine e si sviluppa la protesta sono varie, ma non uno dei comuni della pianura si può dire sia esente dai tumulti.
Se i moti raggiungono il loro culmine a S.Giovanni in Persiceto, disordini e sedizioni avvengono in tutta la provincia: alla residenza comunale di Sala si presentano circa 900 abitanti delle parrocchie di Sala, Bagno e Padulle, minacciando di dar fuoco al palazzo se non sarà levata l'imposta sul macinato. A S'Agata i dimostranti proferiscono minacce alla vita del sindaco, del segretario, degli impiegati comunali.
Sulla piazza di Anzola si radunano mille persone e chiedono sia interposto ricorso per l'abolizione dell'imposta.
Protagonisti dei moti sono i lavoratori della terra.
Da una protesta contro il macinato, passano rapidamente e nel corso stesso del movimento alla violenza di una generale ribellione. Presentano all'inizio pacifici ricorsi, ma presto giungono ad assalire i municipi ed a scambiare fucilate. Da luoghi distanti convergono su un punto, in massa e simultaneamente. L'esperienza che i contadini accumulano in questi pochi giorni arroventati, non l'avrebbero compiuta nel corso tranquillo di anni: imparano a radunarsi, stringendo fra i paesi e i villaggi una solidarietà sconosciuta, misurano le capacità proprie e la reazione del nemico.
Confuse sono le idee entro cui concepiscono la loro rivolta. Lo Stato borghese si è appena formato: non li ha affrancati dal servaggio di patti semifeudali, li ha invece caricati di più gravi tributi. Ad esso si ribellano nel nome dei regimi tramontati, mentre si pongono le premesse, nell'economia agricola emiliana, di nuove condizioni agricole materiali, da cui scaturiranno nuovi pensieri.
Passeranno pochi anni, e allo Stato b orghese impareranno ad opporsi nel nome del socialismo.
La lotta socialista per il fatto stesso di restare aderente alla realtà italiana diviene in breve tempo una lotta nazionale cui aderirono anche larghi strati del ceto medio e uomini di cultura. Si giunge così dopo momenti alterni, alla lotta di repressione con nuove leggi limitatrici dei principali diritti di lebertà. Questo governo battuto nel Parlamento e nel Paese fu costretto alle dimissioni e in seguito si ebbe l'avanzata delle sinistre nelle nuove elezioni. La lotta per la libertàera vinta, ma ciò significava soltanto la conquista di una condizione preliminare per arrivare ad alatri obiettivi: primo fra tutto il tanto agognato elevamento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici.
Tale obiettivo, perseguito dalla sinistra era però in contrasto col tipo di sviluppo scelto dai governi del tempo.
Il capitalismo italiano, arrivato ultimo sulla scena europea, puntò sul protezionismo concentrandosi al Nord e sacrificando il Sud. Ciò rese disuguali le condizioni delle masse popolari, gli uni avviati a rivendicare un tenore di vita e salari sempre più consistenti, gli altri ancora costretti a lottare per assicurarsi le condizioni indispensabili per l'esistenza, Proprio perchè questa divisione incideva negativamente nel tentativo di organizzare i lavoratori in un partito unico e compatto, e allontanava così il pericolo di una forza politica alternativa di classe dominante, tesa a mantenere, anzi ad aggravare questa frattura. Fu così che al Nord, la classe operaia che ormai aveva preso coscienza dei propri diritti cominciò ad associarsi ed organizzarsi in piccoli nuclei attivi e operanti, legati alle idee socialiste, utili ai singoli individui di una determinata zona e di un determinato ambiente.
Sorsero così le prime leghe ed in seguito le Cooperative case del Popolo.
Certo che i modi e le peculiarità con cui si afferma il movimento cooperativo in Emilia-Romagna, vanno ricercati nelle condizioni economiche-sociali e nell'aspirazione ad una società più giusta e libera, in cui germi sono gettati dalla predicazione sia essa socialista, o leberal-democratica, o cristiano sociale.
In definitiva è la coscienza delle lacerazioni e della disorganicità della società capitalistica-borghese che rappresenta l'elemento fondativo della cooperazione ed è perciò comune a tutti i movimenti cooperativi.
I principi dell'associazionismo e del solidarismo miscelati con queste diverse forme di coscienza ci rendono conto della politicità dell'insediamento cooperativo, della sua varietà nei diversi settori, della sua eterogeneità ideale. E attraverso questa strada si scoprirà che l'utopia è presente in modo determinante nella nascita e nello sviluppo della cooperazione. Sulla base dell'esperienza maturata dalle origini fino all'inizio del XX secolo, appare in tutta evidenza che l'associanismo e il solidarismo fondati sul lavoro, promuovono in tutta la regione l'emancipazione e l'aspirazione ad una nuova concezione etica delle classi sociali più diseredate.
La presenza attiva della cooperazione ha così saputo dare ai braccianti, ai contadini, agli operai il senso della collettività, la coesione degli interessi e del lavoro, inserendoli nel processo produttivo e mettendoli a contatto coi problemi vivi della vita politica e sociale, attenuando quella frattura fra stato e popolo che si era prodotta durante il Risorgimento.
Il movimento operaio ad Anzola
Nascita e vita della Casa del Popolo
Se nell'800 la cooperazione attenua le distanze fra stato e popolo, nell'età giolittiana essa afferma attraverso la legislazione e le sue realizzazioni, la presenza del movimento operaio come componente sociale riconosciuta dallo stato.Nel quadro storico più complessivo, la cooperazione emiliano-romagnola rappresenta il mezzo e lo strumento con cui il movimento operaio si apre un varco per penetrare nel corpo dello stato liberale e dell'economia.
Tenendo conto del generale indirizzo e degli sviluppi che andava prendendo in Italia il movimento operaio anche qui ad Anzola si cominciò a parlare di organizzazioni sindacali e di leghe atte a favorire la emancipazione dei lavoratori necessariamente attraverso la loro unità.
Nel 1902 fu costituita la lega mista di tutti i lavoratori, 17 furoni gli iscritti e tennero le loro riunioni mensili in una stalla.
Ogni iscritto aveva il preciso compito di fare opera di proselitismo e di portare nuovi iscritti alla lega rossa.
L'anno successivo gli iscriti furono 117 e la lega cominciò a funzionare con più ampio respiro e si trasferì in località Martignone in casa di Augusto Pedrini che allora fungeva da segretario.
La crescita del movimento operaio e delle sue organizzazioni, la crisi economica e il processo inflazionistico, lo sviluppo delle agitazioni sindacali, in parallelo con gli obiettivi politici posti all'azione della cooperazione concorsero ad incrementare il numero delle cooperative su tutta l'area regionale.
Infatti anche ad Anzola, sotto la spinta e l'esempio di questo primo gruppo, i contadini si costituirono in lega ed ogni altra categoria di lavoratori si organizzò comemeglio potè.
In quel periodo si evidenziava anche la tendenza ad inserirsi nelle strutture statali, per cui, nel 1903, la lega rossa partecipava alle elezioni con una lista di minoranza a capo della quale era GIOVANNI GOLDONI.
Poco tempo dopo, a seguito dell'ennesima tornata elettorale, la lista capeggiata da goldoni vinse con uno scarto di 36 voti.Il Consiglio scaturito da quelle elezioni si mise subito all'opera ed elesse sindaco lo stesso Goldoni.
Nello stesso anno fu concesso un locale del Comune per la formazione di una cooperativa di consumo.
La cooperazione di consumo trovava nel continuo e progressivo aumento del costo della vita e nei fenomeni di speculazione, con i conseguenti rapidi arricchimenti, un terreno fertile alla propria espansione. In tutta la Regione si costituiscono numerose cooperative di consumo che si integrano con quelle di produzione e lavoro.
Le cooperative di consumo si erano diffuse, alla fine dell'800. soprattutto nelle campagne del reggiano, sotto l'impulso della predicazione socialista di Prampolini.
E' da ritenere che la Cooperativa di Consumo di Anzola Emilia, che presenta corretti libri inventari delle merci in magazzino e precisi bilanci già nel 1906, sia fra le prime cooperative di consumo sorte nella zona del Bolognese.
Nello stesso periodo cominciarono anche i primi lavori pubblici di quell'amministrazione: la strada di Rocca Novella, il cimitero di Santa Maria, il ponte delle Budrie, la scuola di Lavino di Mezzo.
Dopo tre anni l'amministrazione comunale riuscì ad ottenere l'esproprio di un terreno, posto nel centro del paese, di proprietà Pedrazzi.
Nel novembre 1909 il Comune cedette alle Leghe quell'appezzamento di terreno al centro del paese: vi si voleva costruire la Casa del popolo.
Sempre in quel periodo si diede inizio ai lavori. Fra la gioia dei presenti fu abbattuto tutto l'alberato e le siepi che circondavano l'appezzamento: a mezzogiorno tutto era finito. Il giorno dopo iniziarono i lavori di scavo per la posa delle fondamenta. Fu un lavoro ingrato e durissimo, furono costrette a darsi il turno squadre di operai giorno e notte per vincere le sorgenti che zampillavano dagli scavi. Ma il desiderio dei cooperatori di vedere sorgere il frutto del loro lavoro era tale che fu vinta ogni difficoltà.
Con due giorni di festa e fra l'entusiasmo dei lavoratori la Casa fu inaugurata nell'ottobre del 1910: la cooperativa di Consumo, la Cooperativa Agricola, e le leghe ora avevano sul capo un solido tetto che le difendeva e potevano mirare a più alti ideali.
Il numero degli aderenti aumentava di giorno in giorno e si disse che quella era la più bella Casa del paese non per la sua posizione di privilegio o per pretese architettoniche, ma perchè era stata costruita soldo su soldo, quando spesso ne mancavano 19 per fare una lira.
Purtroppo il tempo passa e coloro che l edificarono hanno concluso i loro giorni.
Ma valido resta il loro insegnamento perchè la cooperazione è la fierezza di provvedere ai propri bisogni, di essere ciascuno il mercante, il banchiere, il mutante, il padrone di se stesso.
Tutti legati quindi dallo stesso desiderio: lottare per una liberazione non individuale ed egoista, una liberazione volta invece all'affermazione dei valori umani e sociali propri della classe dei lavoratori.
La costruzione della Casa del Popolo avvenne in mezzo a molte difficoltà, sia per quanto riguarda la reperibilità del terreno che per la scarsa disponibilità di mezzi finanziari da parte dei soci.
Pur tra molte difficoltà nel 1910, fu possibile completare l'edificio che a causa delle necessità della Cooperativa agricola dovette essere ampliato rispetto al progetto originario,che prevedeva una spesa di L.50.000.
Per i motivi sopra citati la spesa complessiva fu di L. 66.073,25.
La somma era veramente impressionante per qui tempi se si pensa che il capitale sociale era di L.7.333,27 e di L.3.772,11 per concorsi vari.
Per far fronte al debito fu contratto un mutuo bancario con interesse al 5% e per la durata di 5 anni rinnovabile tacitamente.
A garanzia del rimborso furono ipotecati gli immobili e l'onorevole Giacomo Ferro - cui il consiglio concederà poi un atestato di benemerenza per l'opera svolta- si fece garante presso le banche. In quei primi annia la giovane cooperativa raccoglieva consensi nella popolazione. Un anno dopo il numero dei soci ammontava già a 670. Nonostante la grande adesione per qui tempi , la Casa del Popolo si trovò sempre in difficoltà finanziarie sia per le scarse possibilità economiche dei soci, sia per la piega che prendevano gli avvenimenti nazionali ed internazionali del tempo.
E' di quegli anni la guerra italo-turca che portando la buona parte dei soci sotto le armi, diede un primo duro colpo alle finanze della Casa del Popolo.
Tutto questo fece sì che molti soci non versassero integralmente la quota sociale (che allora era di L.25), ma le pagassero ratealmente date le scarse possibilità econimiche di ciascuno.
Questa situazione provocò in Consiglio aspre discussioni nelle quali alcuni componenti erano del parere di espellere i soci inadempienti.
Il presidente Pedrini con un saggio intervento riuscì a riportare la tranquilltà: dopo aver esaminato l'elenco dei soci inadempienti, propose di avvertirli ancora una volta, dopodichè, se non si fossero presentati personalmente a giustificare la loro posizione, sarebbero stati espulsi dalla socirtà. Tale proposta fu votata all'unanimità e fu applicata nei casi dello stesso genere che si verificarono in seguito.
In breve tempo la Casa del Popolo divenne il centro della vita politica e democratica del paese.
Negli uffici e negozi trovarono posto oltre alla Cooperativa di Consumo, la Cooperativa Agricola, la Lega Fabbri, la Lega Calzolai, la Lega Segantini, la Lega Sarti, la Lega Coloni, la Coop.Macchine ecc.
Tutte queste associazioni avevano strutture modeste,perchè modeste erano le forze sociali alle quali si richiamavano e avevano con la Casa del Popolo un rapporto puramente amministrativo, agendo ciascuna di esse per scopi diversi, pur avendo ideali comuni.
La Casa del Popolo è la sede, il punto di aggregazione per lo svolgimento delle attività politiche e culturali, e proprio quel periodo va ricordato per l'apporto che essa dà a varie iniziative di carattere culturale.
Vi era la possibilità di assistere a commedie, a spettacoli teatrali nel salone al primo piano; intanto cresceva, specialmente fra i giovani, la passione per il ballo.
Questi fecero molte richieste alla Casa del Popolo per avere una sala disponibile, ma siccome i locali da sfruttare erano pochi, nacquero parecchie difficoltà per la fruizione di quell'unico vano - il famoso salone - richiesto dalle varie attività della Casa del Popolo.
Dalla relazione morale e finanziaria per l'anno 1910 presentata in data 8 giugno 1911 dal presidente Augusto Pedrini:
"Quando quattro anni or sono ci faceste l'onore di nominarci vostri rappresentanti per la costruzione di una Casa del Popolo, incominciammo dal nulla senza mezzi, senza indirizzo senza sapere come e dove si doveva costruire questa casa..."
Trascriviamo direttamente dai verbali dal 1913 la soluzione adottata per questo problema:
"Adunanza del Consiglio d'amministrazione della Cooperativa Casa del Popolo di Anzola dell'Emilia. La sera del 3 gennaio 1913 nel locale solito alle ore 18, il Consiglio dellibera per l'affitto del salone che il Comitato della Società dei divertimenti e ballo richiedente il salone, si impegni a versare L.5 (Cinque) compreso la illuminazione ogni sera che vi sarà qualche trattenimento o ballo. Facendo però obbligo al detto Comitato di lasciare libero il Salone tutte le volte che la nostra Compagnia dilettante vorrà dare qualche recita, unanimemente viene così stabilito, ed il Comitato del ballo accetta tale condizione."
Gli amministratori della Casa del Popolo guardavano con simpatia le attività culturali, consideravano la commedia come uno dei mezzi più idonei per l'educazione morale e civile della collettività, ritenevano importantissima la lettura di libri di un certo livello, premevano continuamente sui giovani perché accrescessero il loro impegno culturale.
Questo amore per la cultura non è andato perduto: non a caso, le più recenti iniziative culturali sono nate proprio dalla Casa del Popolo.
Anche il cinema, alle sue prime apparizioni in Italia, cominciava a suscitare interesse, come dimostrano le richieste dei soci per organizzare e poter seguire qualche spettacolo. Queste richieste furono esaudite in un primo tempo affittando il salone per alcune delle rappresentazioni, in seguito fu costruito, sul lato nord, là dove era la tettoia delle macchine agricole, il cinema della Casa del Popolo. Esso fu dato in gestione ai Sigg. Golfieri e Clavello, che pagavano l'affitto in rate annuali.
La prima guerra mondiale ed il periodo fascista
Già dal 1912 era iniziato in Europa un deciso rallentamento degli affari che in certe nazioni assume le vesti di una vera e propria stagnazione.
Il forte sviluppo economico della fine del secolo XIX e soprattutto dei primi anni del XX; entra in crisi; l'unico settore ancora efficiente, quello della produzione militare poggia su basi artificiose e pericolose; d'altra parte gli enormi profitti in esso ottenibili spingono alla corsa agli armamenti, nella quale si distingue particolarmente la Germania.
Inoltre la crisi economica ha enormi influssi sulla situazione sociale, le masse proletarie, alle quali sono stati riservati ben pochi benefici dello sviluppo industriale, soprattutto in termini di reddito, vengono ancor più oppresse dal nuovo stato di cose, con l'aumento della disoccupazione e della emigrazione.
A questo si aggiungano i motivi di contrasto esistenti nel mondo prima del 1914: dissenso Austria-Russia, Germania-Francia, Germania-Inghilterra, Austria-Italia (per la questione Trento e Trieste) e continue frizioni in campo coloniale fra tutte le grandi potenze.
Risulta quindi evidente come, in questa situazione, inevitabile sia lo scoppio di una guerra imperialista rta le grandi nazioni.
La prima guerra mondiale non tardò, infatti, da lì a poco a scoppiare; l'Italia dapprima si mantenne in una posizione di neutralità, ma ben presto si divise in due ideologie: gli interventisti e i neutralisti.
Fra i primi i più accesi sostenitori furono indubbiamente i nazionalisti, che davano alla guerra un significato decisamente antidemocratico e preventivamente controrivoluzionario; si trovavano con questo in perfetto accordo con gli interessi della grande industria che concretamente li appoggiava, si impegnarono in una vasta propaganda, che non avrebbe avuto comunque una grande risonananza se non poteva contare sulla complicità della monarchia e delle crescenti convergenze dell'area moderata conservatrice, laica e cattolica.
Sul finire del 1914 il fronte interventista si rafforzò con l'adesione di Mussolini (allora direttore dell'Avanti) e di sindacalisti rivoluzionari come Corridoni, De Ambris e Labriola.
Il fronte neutralista invece non riuscì ad organizzare una risposta pronta e decisa, condizionato anche dall'astensionismo del Partito Socialista e della CGIL.
La più importante presa di posizione fu la cosiddetta "settimana rossa" nella quale anarchici, sindacalisti rivoluzionari e repubblicani si coalizzarono per sfruttare con un tentativo di sommossa uno sciopero generale proclamato dalla CGIL.
Ad Anzola si vissero con tensione e con grandi discussioni quei momenti e, da quanto ricavato dalle testimonianze di quel periodo pare che l'orientamento generale fosse per il non intervento.
A livello nazionale, però, la decisa presa di posizione PSI-CGIL sulla linea Lazzari: "Nè aderire nè sabotare" non lasciò più tempo a ripensamenti ed il 24 maggio l'Italia entrò in guerra.
Con lo scoppio della prima guerra mondiale, si incontrarono crescenti difficoltà sia nel portare avanti iniziative nuove, sia nel mantenimento di quelle preesistenti.
Il consuntivo di bilancio del 1915, registrò infatti un passivo di L. 1205,39. Tale situazione, non era comunque molto grave se si pensa che molte istituzioni simili furono travolte in quegli anni, a causa dei perturbamenti economici che la guerra arrecava.
Dalla lettura di quel bilancio e dei successivi divenne evidente che le perdite di quegli anni, non erano provocate dalla gestione negativa delle iniziative, ma dal fatto che fosse in corso una guerra: le leghe avendo molti soci e dirigenti sotto le armi, non avevano potuto versare le quote d'affitto e per lo stesso motivo vennero meno molti versamenti da parte dei soci. Questa situazione si protrasse per tutta la durata del conflitto.
Alla fine della guerra, l'Italia fu sconvolta come tutti gli altri paesi capitalistici, da una grave crisi economica.
Molte cose erano cambiate durante questa guerra: la Rivoluzione d'ottobre, scoppiata in Russia nel 1917, aveva aperto nuove speranze alle forze progressive di tutti i paesi europei. Anche in Italia vi furono ripercussioni: ricordiamo brevemente l'occupazione e la gestione della FIAT da parte dei consigli di fabbrica, gli scioperi nelle campagne per rivendicare migliori condizioni di vita, e sul piano politico la conquista di numerose amministrazioni comunali da parte della sinistra.
La difficile situazione di quegli anni portò alla nascita del fascismo, che sebbene fosse finanziato dalle classi dominanti, riuscì anche a crearsi una base di massa tra la piccola borghesia. Iniziò così la reazione fascista che si svilupperà negli anni successivi.
L'offensiva ebbe inizio nei primi giorni del 1921, in risposta ai risultati delle elezioni amministrative del 31 ottobre e del 7 novembre dell'anno precedente che aveva dimostrato la grande forza del partito socialista.
I primi assalti ebbero luogo a Carpi, nell'inverno del 1921, contro la locale Cooperativa stampa e a Firenze dove fu assalito lo spaccio di S. Marco Vecchio.
Noi ricordiamo l'assassino del bracciante anarachico Aristide Toselli, ucciso il 5-3-1922 da una squadraccia fascista nel corso di un'improvvisa sparatoria avvenuta mentre il bracciante era seduto davanti alla Cooperativa di Consumo, posta nella località "case Modena" di Anzola.
Rimasero feriti durante lo scontro altri due lavoratori residenti nella zona.
Queste prime incursioni furono accolte più con stupore che con indignazione, perché ritenuti episodi isolati di teppismo. A questi soprusi - giudicati episodici - non fu contrapposta una valida opposizione perché non si riuscì a concludere una alleanza con altre organizzazioni popolari.
Un tardivo tentativo di organizzare una controffensiva venne poi creato dalla Lega Nazionale delle Cooperative nel corso del 19° Congresso (20-21-22-23 gennaio 1922) che alla fine voterà "L'istituzione di un unico comitato nel quale siano rappresentate pariteticamente la Lega Nazionale delle Cooperative e la Confederazione Generale del Lavoro al fine di raggiungere la loro unione tanto resa più necessaria per fronteggiare la violenta reazione che si è scatenata contro gli istituti di presidio degli interessi popolari".
Anche la Casa del Popolo di Anzola, non rimase estranea a queste vicende. Però in tutta la provincia, come dimostreranno i fatti, fu l'unica a non passare mai sotto il fascio.
Bisogna risalire al 1923 per entrare nel vivo della lotta fra idirigenti fascisti e i dirigenti della Casa del Popolo. In quel periodo era segretario del fascio anzolese il dottor Brizzi che fu uno dei più accaniti persecutori del movimento operaio, tant'è vero che minacciò di distruggere la società.
L'anno dopo il fascio riuscì a far dimettere il Consiglio e cercò di imporre una amministrazione composta da combattenti e fascisti.
Nello stesso anno, 1924, a Calderara di Reno moriva Giovanni Goldoni per i postumi delle ferite riportate dalle violente bastonature infertegli da gruppi di fascisti. Era stato fra i più decisi assertori degli ideali del socialismo e della cooperazione, fu per 17 anni sindaco di Anzola e fra i fondatori della Casa del Popolo.
Pietro Franceschi che si prese la responsabilità di andare in tutte le case per mettere in guardia i soci, di quanto stava accadendo fu duramente bastonato.
I fascisti però non riuscirono nel loro intento.
Di lì in poi la società continuò ad avere un andamento legale senza però una vita realmente attiva perché ciò avrebbe suscitato maggiori contrasti.
La proposta di affittare tutti i locali della Casa del Popolo fu decisamente respinta.
Sempre per sabotare si fece chiudere l'osteria per una settimana col pretesto che vi si tenevano riunioni di sovversivi.
In seguito dalla minaccia diretta si passò all'astuzia e fu proposto al Consiglio di vendere una parte della Casa del Popolo per costruire una fabbrica per la lavorazione del pomodoro. Tale proposta fu portata in assemblea dove i soci rimasero incerti fra il sì e il no.
Soltanto una strenua e accanita impennata del segretario Coliva, coadiuvato dal Consiglio di Amministrazione, impedì che si facesse tale fabbrica, perfettamente inutile, ma che rappresentava soltanto una scusa per riuscire a mettere le mani del fascio su tutta la struttura.
Le presioni del fascio non terminarono subito ma si protrassero durante tutto il ventennio.
In tutto questo tempo, ogni segretario che si avvicendava nella carica cercava di imporre il passaggio al fascio della Casa del Popolo.
Unica concessione a queste continue pressioni fu di accettare il cambiamento del nome della Casa del Popolo in "Casa dei Cooperatori" e da "Cooperativa di Consumo Sempre Avanti" in "Cooperativa di Consumo Giuseppe Mazzini".
La segreteria del fascio era tanto sicura di ottenere la Casa del Popolo che rifiutò persino un grosso stanziamento della federazione provinciale per la costruzione di una "Casa del fascio", cosicché tale stanziamento passò solo al comune di "Serravalle".
Quando poi non riuscirono a ottenere il fabbricato della Cooperativa, i fascisti si accorsero di essere rimasti con un pugno di mosche in mano.
Il comune concesse poi lo stabile al lato est del proprio edificio dove venne costruita la Casa del fascio con bar "Dopolavoro".
Anche in campo agricolo i fascisti sabotarono in tutti i modi la cooperazione tanto che col loro avvento si sciolse la Cooperativa Agricola.
Come descritto nel precedente capitolo là dove era la tettoia delle macchine agricole, sul lato nord, fu costruito il cinema.
Alcuni anni dopo, nel 1931 l'avvocato Tosatti allora segretario del fascio, propose di migliorare la sala cinematografica, la Casa del Popolo, pur facendo uun debito soddisfece questa esigenza migliorando la sala che fu poi data in gestione al Sig. Passerini.
Tale gestione fu poi subaffittata alla moglie.
Il marito di questa era un ebreo, e quando iniziarono le persecuzioni razziali essa fu costretta ad abbandonare tutto e vendere l'attrezzatura al Sig. Zurla.
Sono gli anni durante i quali i dirigenti del movimento cooperativo emiliano o sono al confino (a Ustica Giuseppe Massarenti) o sono costretti ad abbandonare ogni attività politica (come Camillo Prampolini) o hanno lasciato l'Italia ingrossando le fila degli antifascisti in esilio, come Nullo Baldini. E tuttavia anche in quegli anni vi fu una opposizione cooperativa al fascismo che trovò nei discepoli di Massarenti, soprattutto in Giuseppe Bentivogli e Paolo Fabbri un suo punto di attrazione.
Il 10 giugno 1940 scoppiò la seconda guerra mondiale, durante la quale la Casa del Popolo interruppe ogni attività.
Furono anni duri di miseria per tutto il popolo italiano, ma fu proprio durante questa guerra che si riorganizzò in Italia l'antifascismo quando la sorte del regime appariva ormai segnata.
Soprattutto nelle campagne la cooperazione riprese il suo ruolo tra le famiglie contadine nelle quali la tradizione di solidarietà e di aiuto reciproco proprie del movimento non erano mai venute meno.
Priva di proprie strutture operative la cooperazione rafforzata dall'apporto di giovani donne, operai, contadini si mosse in maniera più combattiva e più strettamente allineata con gli indirizzi di partiti e sindacati.
Qui l'intervento cooperativo nella Resistenza sarà integrato nei gruppi resistenziali cui fanno capo socialisti e comunisti.
Ad Anzola il nucleo partigiano divenne sempre più consistente fino a formare un distaccamento della 7a Brigata G.A.P, che portava il nome di "TARZAN".
La collocazione del partigiano cooperatore in questi gruppi fu quella del combattente anche se al di là dell'impegno immediato vedeva sempre l'obiettivo della ricostruzione democratica del movimento cooperativo.
Dall'autunno del 1943 alla primavera del 1945, si realizzò l'inserimento nelle formazioni partigiane dei cooperatori, anche se molti soci di cooperativa si erano autoemarginati durante il ventennio fascista e altri erano rimasti nelle sedi per portare avanti dall'interno una opposizione al regime. Le necessità del momento fecero superare queste scelte per curare reali collegamenti coi movimenti clandestini e le cooperative si trasformarono in punti di coordinamento delle iniziative o in basi partigiane.
Ad Anzola si ebbero molte azioni Partigiane, una delle più importanti fu l'attentato alla caserma dove erano alloggiati i fascisti. A seguito di queste azioni e per intimorire i cittadini di Anzola che si andavano organizzando sempre meglio per sconfiggere il nazifascismo (avevano allora già 85 basi partigiane) fu ordinata un'azione di rappresaglia che si concluse con la fucilazione del partigiano Marino Schiavina sulla pubblica piazza.
Ma la popolazione di Anzola non cederà di fronte alla brutalità ed alla violenza.
Saranno proprio le donne a dare l'esempio: in alcune centinaia insceneranno, l'8 luglio 1944, una manifestazione per esigere l'immediata distribuzione alla popolazione di 300 quintali di grano, appena trebbiato.
A seguito di questa protesta, iniziative analoghe avranno luogo in diverse altre località.
Un valido apporto dei partigiani anzolesi nella Resistenza è rappresentato dal contributo dato alla Battaglia di Porta Lame a Bologna. Sin dal settembre 1944 i comandi alleati avevano dato disposizione ai comandi partigiani di tenersi pronti per l'insurrezione armata. Dal Comando di Bologna fu deciso che il distaccamento della 7a G.A.P. di stanza ad Anzola, assieme ad altri partigiani del Battaglione Sergio partecipassero alla liberazione di Bologna.
Il trasferimento del distaccamento avvenne di notte e durante la marcia nei pressi di Borgo Panigale, i partigiani ebbero uno scontro con una pattuglia tedesta e nello scontro fu ferito a morte il comandante partigiano Antonio Marzocchi (Toni).
Il distaccamento di Anzola si unì alla base alloggiata presso il vecchio Ospedale Maggiore nella zona tra Via Lame e Via Riva Reno. Trascorsero vari giorni durante i quali il distaccamento anzolese attendeva l'ora dell'insurrezione, partecipando ada azioni contro spie e delatori al servizio delle Brigate Nere e delle S.S tedesche.
Il 7 novembre una pattuglia di tedeschi scopriì una "base" in Via del porto, dove alloggiava il distaccamento della 7a G.A.P. ebbe inizio una cruenta battaglia , i tedeschi e le brigate nere intervennero anche con cannoni e un carro armato. Il distaccamento di Anzola, che era distante soltanto qualche centinaio di metri dal posto dove infuriava la battaglia, accortosi che i partigiani impegmati in combattimento stavano per essere sopraffatti dalle ingenti forze nemiche, che si erano concentrate, entrò in azione circa alle ore 19 cogliendo di sorpresa i tedeschi e i fascisti e infliggendo gravissime perdite ai nazi-fascisti, che lasciarono sul campo numerosi uomini, capovolgendo con ciò la situazione in favore dei partigiani. Nel vittorioso combattimento caddero tre eroici partigiani anzolesi: Oddone Baiesi, Oliano Bosi e Ettore Magli.
A metà novembre divenne noto il proclama del generale Alexander che invitava i partigiani ad abbandonare le armi e ritornare alle proprie case; ma i partigiani di Anzola non furono d'accordo e continuarono la loro lotta infliggendo nuove e gravi perdite al nemico.
Di fronte a questa tenacia dei partigiani e del popolo anzolese, il comando nazifascista, ai primi di dicembre 1944. organizzò un massiccio rastrellamento con l'impiego anche di paracadutisti, di triste ricordo, della divisione "Goering".
I paracadutisti riuscirono nel loro intento di colpire i partigiani grazie all'aiuto di una spia che era riuscita ad infiltrarsi nel movimento. furono bruciate le case dei contadini che erano state le migliori basi della Resistenza. furono fatti uscire dalle case gli uomini che erano stati i migliori combattenti e, portati nelle scuole, furono suddivisi in base alle informazioni fornite dalla spia: parte dei rastrellati furono portati alle carceri di Bologna, dove diversi subirono percosse e torture, alcuni furono fucilati a Sabbiuno il 14 dicembre, mentre gli altri furono deportati nei campi di sterminio di Mauthausen dal quale pochissimi scamparono alla morte.Nel campo di Mauthausen morirono 13 partigiani di Anzola.
Grave fu la tragedia del dicembre 1944, ma ancora una volta i partigiani e i cittadini di Anzola non si arresero; il movimento partigiano rimase organizzato ed attivo fino al giorno della liberazione il 20 aprile 1945.
Dalla rinascita del dopoguerra agli anni sessanta
La situazione italiana, nel dopoguerra era drammatica, le distruzioni operate dai bombardamenti, le truppe alleate che ancora nel dopoguerra stanziavano in Italia, la crisi economica susseguente alla fine del conflitto con tutti i problem che essa poneva, impiegò il movimento cooperativo accanto alle forze produttive che operavano per la ricostruzione. Anche ad Anzola in questi primi anni di riprsa della vita democratica il consiglio della Casa del Popolo si mise subito al lavoro per dare impulso alla organizzazione.
Riprese così pur tra molte difficoltà causate dalla guerra l'attività della Casa del Popolo, la quale torna ad essere il centro della vita democratica del comune come già lo era stato negli anni precedenti al fascismo.
L'Italia governata in quel primo dopoguerra dai maggiori partiti che rappresentavano il popolo italiano, pareva avviata pur fra mille difficoltà a un avvenire migliore. Ma la rottura di quelle ampie maggioranze avvenuta due anni dopo la fine della guerra -rottura che fu il riflesso sul piano interno della tensione internazionale tra le potenze vincitrici del conflitto - impedì di fatto che la trasformazione democratica ed economica voluta dalla Costituzione avesse pieno corso.Cominciò così un periodo difficile: gli orientamento conservatori emersi dai governi a direzione democristiana, pesarono negativamente sullo sviluppo dell'associazionismo democratico.
In quei difficili anni si fece comunque più intensa l'attività della Casa del Popolo.Per venire incontro alle esigenze dei giovani fu acquistato un pezzo di terreno su cui sorse la sala da ballo denominata "Gatto Rosso" che venne poi venduta molti anni dopo.
Sempre in quel periodo, la gestione del cinema passò direttamente nelle mani della Casa del Popolo.
L'attentato a Togliatti avvenuto in quell'anno, vide la mobilitazione di tutte le forze democratiche di anzola, ed in particolare della cooperazione che vedeva in quell'attentato un attacco a tutti i principi di vita democratica.
Un socio anziano ricorda ancora quel momento: -quando giunse la notizia dell'attentato al compagno Togliatti noi eravamo impegnati a lavorare in località Olmo al seguito delle trebbiatrici, immediata fu la risposta da parte di tutti: si partì immediatamente, con gli abiti da lavoro ancora addosso e con gli atrezzi e si andò verso Bologna; per la strada man mano che ci avvicinavamo al centro della città venivamo raggiunti da altri gruppi di contadini, braccianti, operai e lavoratori, quando arrivammo in piazza trovammo la piazza già stipata di gente carica di tensione -.
Fu probabilmente quello il punto massimo cui si spinse la reazione in Italia anche se, come vedremo in seguito, non amcheranno altri tentativi da parte dei governi di allora di piegare il movimento progressista.
Il '50 infatti si apre la mattina del 9 Gennaio con l'eccidio di Modena. La polizia di Scelba apre il fuoco sugli operai delle officine -Orsi- uccidendone sei; anche in questo caso immediata e pronta fu la risposta di Anzola, dove si organizzarono subito squadre di operai e lavoratori dirette su Modena, non riuscitono però ad entrare in città. Vi entrarono in seguito il giorno dei funerali quando Togliatti lanciò un monito al governo che divenne parola d'ordine delle lotte successive: "Basta con gli eccidi, questo governo se ne deve andare".
Gli anni '50 sono gli anni in cui i cittadini anzolesi si stringono atorno alle istituzioni democratiche in difesa delle stesse.
Sono gli anni degli "scioperi a rovescio".Questi iniziarono nel nostro comune sotto la direzione della locale camera del lavoro e vi partecipò la maggioranza dei lavoratori.In questo contesto assunsero particolare rilievo le iniziative portate avanti dalla Casa del Popolo.
Ricordiamo brevemente l'invio alle colonie marine e montane i bambini appartenenti a famiglie bisognose, l'istituzione insiemo al Patronato scolastico della refezione, l'istituzione del doposcuola che ha funzionato con grande beneficio per i ragazzi. Vanno ricordate inoltre le gite scolastiche che in quegli anni riscossero grande successo tra la popolazione, e il concorso "il piccolo Giotto " la cui conclusione si aveva il 6 gennaio di ogni anno.
L'incremento della popolazione e le sempre maggiori esigenze hanno costretto il Consiglio a rimodernare la vecchia osteria ricavandone un bar dotato di tutti i più moderni requisiti, atti a sodisfare i giovani senza tuttavia escludere la popolazione anziana che tutto aveva dato nel passato a favore della Casa del Popolo. Attraverso questo breve scorcio arriviamo alla fine degli anni '50. In quel periodo si insediò il comitato per la celebrazione del 50° anniversario della Casa del Popolo.
Questo fu celebrato nel giugno del 1960 con grande partecipazione da parte della popolazione.
Erano quelli gli anni del boom economico, gli anni in cui anche ad Anzola ci si avviava da un tipo di economia prevalentemente agricola a un tipo di economia basata su una intensa industrializzazione. La stessa iniziata durante il decennio precedente quasi in sordina esploderà in quegli anni creando nel nostro comune nuovi problemi da affrontare e risovere.
Come abbiamo visto, già sul finire del anni 50 i consigli di amministrazione che allora si avvicendavano si posero come obiettivo di rinnovare la Casa del Popolo in tutte le sue strutture.Come già ricordato, negli anni precedenti l'osteria era stata ampiamente rinnovata per venire incontro alle esigenze del paese.
Proseguendo su questa strada il Consiglio allora in carica decise di rinnovare la sala cinematografica date le condizioni di scarsa sicurezza della stessa.
Un dato di fatto preoccupava molto il Consiglio in carica; le presenze nel cinema dopo aver toccato l'apice nel1957 con oltre 115.000 biglietti venduti, stavano calando già da qualche anno e si pensava che una ristrutturazione globale del cinema (per altro necessaria) fosse sufficiente a contenere il fenomeno che comunque non rigurdava solo Anzola.
Le spese da affrontare erano però notevoli per le finanze della Casa del Popolo.
Per il pagamento dei lavori furono chiesti 15.000.000 di lire, - somma enorme per quel tempo - alle banche da restituire con cambiali e 5.000.000 di lire furono sottoscritte dai soci a titolo di prestito. Questi lavori incominciaro a giugno del 1961 per concludersi nello stesso anno.
Oltre che nei muri il cinema fu rinnovato nelle attrezzature e fu sistemato il riscaldamento. Proseguendo poi nell'opera di rinnovamento interno, la Casa del Popolo chiese un forte finanziamento all'istituto per il credito a medio termine affinchè la Cooperativa di consumo potesse rinnovare l'attrezzatura interna dei propri negozi.
Tale prestito di L.1.700.000 fu garantito con ipoteca su tutto il fabbricato. L'attività sociale ebbe in quegli anni un forte impulso. Essa si inquadrava perfettamente nella situazione di allora.
Ricordiamo brevemente gli aiuti ai braccianti a ai mezzadri che in quegli anni lottavano gli uni per migliori condizioni di vita, gli altri per il superamento della mezzadria e per lo sviluppo economico che non relegasse l'agricoltura al ruolo di cenerentola.
Oltre alleiniziative tradizionali di cui si è già parlato in altra parte del libro va ricordata l'adesione che la Casa del Popolo diede alla "Filmcoop" società cooperativa sorta in quel tempo con sede a Reggio Emilia allo scopo di produrre e distribuire films di impegno sociale nei locali gestiti dalle Case del Popolo.
Tale iniziativa fallì, soprattutto per la struttura monopolistica propria ancora oggi del mercato cinematografico, tuttavia la Casa del Popolo non mancò mai di proporre alla cittadinanza di Anzola, rassegne di films su temi sociali affinchè i soci e i cittadini stessi prendessero sempre più coscienza dei problemi del loro tempo.
Gli anni della congiuntura e della crisi economica
Dopo il boom economico dei prima anni 60 sopraggiunse la crisi che per la sinistra non era del tutto inattesa. Lo sviluppo disordinato e caotico degli anni precedenti aveva creato ampie contraddizioni nella società italiana.
Non tutti i settori economici si erano sviluppati allo stesso modo,alcuni anzi come l'agricoltura erano arretrati. Si verificarono per questi motivi forti aumenti di prezzi come mai era accaduto in precedenza.
Di fronte a questo stato di cose i governi allora in carica anzichè attuare una politica economica che aggredisse le cause di fondo della crisi operò e manovrò sullaleva fiscale e creditizia una politica fortemente deflazionistica al solo scopo di contenere l'inflazione senza rimuovere le cause.
Una simile politica ebbe gravi conseguenze anche nel nostro Comune, tanto che anche noi si giunse a una riduzione dell'occupazione.
Tale situazione incise negativamente anche sulla Casa del popolo, che per la sua struttura si trovò particolamente colpita dalla riduzione del potere d'acquisto dei cittadini.
Inoltre gli investimenti fatti negli anni passati resero preoccupante la situazione finanziaria, che si ripercosse negativamente sulle gestioni,annullando in taluni casi gli utili.
Nel 1965 per fronteggiare alcune scadenze debitorie che non potevano essere dilazionate il Consiglio decise la vendita della sala da ballo "Gatto Rosso".
Sempre in quel periodo venne deciso il trasferimento dell'amministrazione da Anzola a Zola Predosa presso il centro amministrativo allo scopo di contenere i costi d'ufficio.
L'anno seguente una assemblea di soci appositamente convocata deliberò la fusione tra la "Copperativa Casa del Popolo" e la "Cooperativa di Consumo G.Mazzini". La nuova societàprese da allora il nome di "Coop. di Consumo Casa del Popolo" unendo così in uno solo i nomi delle due Cooperative.
Da questa fusione uscirono rafforzate entrambe le cooperative e si potè guardare al futuro con meno preoccupazione.
La ripresa economica succedutasi agli anni '64-'65, trovò il paese di Anzola in fase di forte sviluppo industriale, la forte emigrazione che si era concretizzata negli anni precedenti in Italia ebbe un attimo di stasi, ma per Anzola determinò una ripresa più accentuata della immigrazione interna.
Da una stima compresa nel periodo 1961-1971 si calcola che 1 milione e 156.000 meridionali hanno dovuto cercare lavoro all'estero.
Nello stesso periodo 995.000 hanno dovuto trasferirsi nell'Italia del Nord e 205mila in quella centrale.
A questo imponente esodo va aggiunta la migrazione tra campagna e città, che toccherà anche il nostro paese, derivante dalla flessione della manodopera in agricoltura, flessione che nello stesso decennio ha interessato 2.450.000 unità. Un dato più complesso, riferito al periodo 1946-1970, si dice che l'Italia ha avuto un saldo passivo tra espatri e rimpatri di 3.201.240 unità.
Sotto questa spinta il Comune di Anzola si ingrandì, costringendo l'amministrazione locale a intervenire per estendere i servizi sociali già esistenti.
Iniziarono infatti in quegli anni la asfaltatura di Via Schiavina e Via Zavattaro e la costruzione di una rete per la distribuzione delmetano ad Anzola.
Il 1968 fu l'anno della contestazione giovanile che esplose in tutti i paesi industrializzati e che aveva come principale ragione d'essere il rifiuto del modo di vita capitalistico e borghese.
Nasceva in Italia una domanda di partecipazione, una domanda di giustizia, e la ricerca di forme di vita meno alienanti.
Proprio per il suo stesso modo di essere la Casa del Popolo non rimase estranea a questa richiesta. Essa mise a disposizione dei giovani le sue strutture sia per dare una sede ai movimenti che ne esprimevano le tendenze, sia intervenendo nel dibattito politico del tempo con iniziative, sia concedendo loro l'uso di locali per il tempo libero. E' appunto in quel periodo che l'ARCI di Anzola raggiunse il massimo degli iscritti. Vanno ricordati inoltre gli stanziamenti deliberati a favore dell'UISP per iniziative sportive affinchè lo sport fosse visuto in maniera attiva e non sedentaria.
Nel 1969, la direzione amministrativa venne riportata ad Anzola, annullando così una delibera fatta l'anno precedente in cui si ipotizzava un passaggio della direzione a Bologna dopo la chiusura del centro amministrativo di Zola Predosa.
Nello stesso anno fu rinnovato l'interno del bar, fu fatto un impianto d'aerazione per lo smaltimento dell'aria viziata, fu ampliata la sala biliardi, fu aperto l'ufficio postale, e infine si iniziarono le pratiche per l'apertura di un nuovo spaccio in Via Schiavina in quanto quella zona aveva avuto in quegli anni una notevole espansione urbanistica.
Si giuse così alla fine degli anni '60 con una struttura viva in grado di rispondre sempre meglio alle esigenze dei cittadini.
Gli anni dell'inflazione
Il 1969, fu l'anno dell'autunno caldo, l'anno in cui l'unità sindacale pareva cosa fatta,l'anno in cui milioni di lavoratori scesero in piazza a rivendicare migliori condizioni di vita e maggiore dignità in fabbrica.
La Casa del Popolo non rimase estranea a questi fatti e intervenne, sia con campagne di ribasso dei prodotti cooperativi, sia sulpiano più politico con manifestazioni e dibattiti organizzati assieme alle forze politiche, affinchè la popolazione di Anzola, fosse consapevole di ciò che stava accadendo in quel periodo.
Vi era allora un grande fermento anche all'interno del movimento cooperativo.
Si comprese che le lotte operaie e studentesche mandavano in frantumi tutto il modo di fare politica e cultura in uso fino ad allora.
Il congresso dell'ANCC tenutosi in quel periodo, propose l'unificazione di tutte le cooperative allo scopo di far fronte allenuove esigenze poste dalla situazione venutasi a creare, e per far fronte alla prevedibile reazione da parte delle forze più conservatrici che come vedremo non tarderà a manifestarsi.
Il consiglio della Casa del Popolo allora in carica, respinse questa proposta, considerandola non attuabile data la peculiarità della Casa del Popolo che non comprendeva solo negozi, ma anche una bar e un cinema. Sempre nel 1970 venne inaugurato il nuovonegozio di Via Schiavina, venne completata la centrale termica iniziata l'anno prima e la ristrutturazione all'interno del fabbricato.
In un quadro economico generalmente positivo, la cosa che più preoccupava il consiglio di allora, era l'andamento del cinema che anno dopo anno perdeva costantemente spettatori, nonostante i vari tentativi fatti per migliorare la programmazione.
Il consiglio decise quindi di nominare una commissione che studiasse a fondo il problema vedendo cosa era possibile fare per porre un freno al continuo calo di presenze.
Il 1971, fu l'anno in cui si tenne il censimento.
Per quanto riguarda il nostro comune, esso mise in evidenza che la maggioranza della popolazione anzolese era immigrata da altre zone (meridionali, ferraresi, ecc).
Ciò rendeva particolarmente urgenti sia il potenziamento dei servizi sociali, sia la creazione di nuovi alloggi per megliosistemare l'aumentata popolazione di Anzola.
Anche a livello politico e di aggregazione vi era la necessità di intervento da parte delle forze politiche e degli organismi di massa.
Mentre il governo sul piano nazionale varava una politica sempre più conservatrice tesa a recuperare il potere perso negli anni precedenti, l'amministrazione locale facendosi interprete delle esigenze della popolazione si sostituì allo Stato, varando un intenso programma di opere pubbliche.
Furono così costruite nuove scuole, asili nido e prese il via un nuovo centro sportivo ubicato sulla Via Lunga.
Va ricordata in quegli anni anche la vertenza sviluppatasi sul tema della salute alla Sirmac, i cui risultati si estesero in seguito anche ad altre aziende.
La Casa del Popolo non rimase estranea a quanto di nuovo stava accadendo nel Comune di Anzola.
Nel 1972 di fronte alla sempre più massiccia offensiva monopolistica nel settore della distribuzione, fu deciso il passaggio degli spacci gestiti dalla Casa del Popolo alla Coop. di Bologna.
Tale passaggio si rendeva ormai indilazionabile per motivi sopracitati.
Col ricavato delle vendite delle merci e delle attrezzature esistenti nei negozi fu fatta dapprima la pensilina del bar e poi fu rinnovato l'arredamento del cinema in quanto quello esistente era ormai superato.
Sul finire del 1973 esplose la crisi energetica, tale crisi non era del tutto inaspettata in quanto molti fatti accaduti nei mesi precedenti segnalavano che la stessa covava sotto la cenere.
La situazione economica di questi anni già difficile, venne aggravata da questa situazione.
La risposta del governo fu, oltre all'aumento dei prezzi, la proibizione di circolare in auto la domenica.
Tale provvedimento fece aumentare per tutta la sua durata gli spettatori nelcinema in quanto potendo solo affidarsi almezzo pubblico i cittadini si spostavano mal volentieri.
Questa situazione, portò a numerosi dibattiti all'interno delle forze politiche anzolesi: si capì che comunque andassero in seguito le cose un determinato modo di vivere, di produrre e di consumare non poteva durare in eterno.
Si comprese inoltre che lerisorse materiali non erano inesauribili e che prima o poi si sarebbe dovuto fare i conti con queste nuove realtà.
L'anno dopo si andò al referendum sul divorzio il cui esito deluse coloro che lo avevano voluto.Ad Anzola 75 elettori su 100 si espressero per il mantenimento della legge e questo grazie all'iniziativa condotta dalle forze politiche, dai movimenti giovanili, oltre che dalla Casa del Popolo, che sempre mise a disposizione le proprie strutture.
Nel 1975 di fronte alla richiesta delle organizzazioni democratiche la Casa del popolo diede inizio a una serie di lavori, miranti a rinnovare il salone ed ad utilizzare una sala adiacente il salone stesso, ancora allo stato grezzo.
I lavori si protrassero per tutto il 1975, dato che le opere da eseguire si rivelarono più onerose del previsto.
In questo periodo, furono rifatti i pavimenti, fu intonacato tutto il locale adiacente la sala riunioni, e mediante l'apertura di 3 grosse porte gli stessi furono resi comunicanti.
Furono poi fatti un bar, una toilette, e una uscita di sicurezza, cose queste indispensabili per poter svolgere attività di sala da ballo.
I lavori furono ultimati nel dicembre 1975 e per il finanziamento degli stessi furono venduti 2 negozi in Via Schiavina.
Per quanto riguarda il cinema riprese in quell'anno il calo delle presenze dopo la breve parentesi dell'austerità.
A questo proposito vi furono in Consiglio accese discussioni sul futuro del cinema.
Molti consiglieri di allora erano propensi per l'affitto allo scopo di eliminare una gestione da tempo in passivo.
Dopo un incontro con il CREEC, l'organismo che curava la nostra programmazione cinematografica, si decise di fare ancora un tentativo.
Si lavorò meglio sui contratti di noleggio per evere un minor numero di films, cercando di aggiornare la programmazione e la pubblicità fu meglio curata.
La grave crisi economica di quell'anno fece sentire i suoi effetti anche sull'attività della Casa del Popolo.
Il bilancio di quell'anno si chiuse infatti in passivo per la prima volta dal dopo guerra e ciò pose ulteriori problemi per il futuro della Casa del Popolo.
Dalla proposta dei governi di unità nazionale ai giorni nostri
L'assemblea dei soci convocata nella primavera del 1976 per discutere di quel bilancio, si espresse a favore di una profonda ristrutturazione della Casa del Popolo.
Tra le proposte emerse da quell'assemblea ricordiamo brevemente: costruzione dei camerini nel cinema per fare anche spettacoli teatrali, pieno utilizzo dei salotti appena terminati, ristrutturazione degli ex negozi coop per fare una discoteca o una pizzeria, onde attirare i giovani.
Il consiglio che si insediò quell'anno si mise a lavorare di gran lena per decidere quali scelte adottare.
Dopo un esame dei preventivi di spesa e di gestione e dopo aver ascoltato i pareri di esponenti della Coop. Bologna, della CAMST e della Federcoop, si decise di rinunciare alla ristrutturazione già programmata per la difficile situazione economica finanziaria della Casa del Popolo.
Furono così ultimati i lavori già iniziati e per alleggerire la situazione finanziaria fu decisa la vendita di alcuni negozi.
Sul finire dell'anno fu varato un programma minimo di trattenimenti danzanti nei saloni per verificare la partecipazione del pubblico a queste iniziative.
Per quanto riguarda il cinema dopo un lieve miglioramento nei primi mesi dell'anno, le presenze ripresero a calare.
L'invasione delle televisioni private con la trasmissione di films a getto continuo diede un duro colpo all'andamento del cinema proprio menter il consiglio stava varando un programma di vasto respiro per risollevarne le sorti.
Fu in in questoo quadro economico negativo per la Casa del Popolo che il 1976 si chiuse con molti problemi ancora da risolvere.
La persistente crisi economica danneggiava ancora la situazione della Casa del Popolo, che per pareggiare il proprio bilancio fu costretta a vendere un altro negozio.
La grande avanzata delle sinistre avvenuta quell'anno fu il fatto politicamente più rilevante, assieme alla ripresa della collaborazione sia pure sotto forma di astensione fra democristiani e comunisti.
Tale fatto fu ad Anzola, variamente dibattuto.
Si sviluppò in quel periodo una contestazione "da sinistra" a questa collaborazione; contestazione che sarà particolarmente virulenta nell'anno successivo.
Sul finire del 1976 nacque ad Anzola una radio privata che , formata da persone di varie tendenze politiche, si occupava della vita locale di Anzola.
Tale radio cesserà le trasmissioni nella primavera del 1977, mentre un'altra serie di vicende inciderà negativamente sulla vita della Casa del Popolo.
Infatti la radio, per mantenersi in vita, aveva chiesto aiuto anche alla Casa del Popolo, ma per vari problemi di carattere economico e per non definite scelte politiche, non fu possibile aiutare la radio a sopravvivere.
Come già detto, nel 1977 fu venduto un altro negozio allo scopo di sanare il bilancio complessivo dell'anno precedente aveva presentato infatti un grave disavanzo, dovuto sia al bar che continuava a presentare un forte passivo, sia al cinema che perdeva continuamente presenze.
L'introduzione della TV a colori avvenuta in quell'anno aggravò ancora di più il fenomeno.
Nella primavera di quell'anno il consiglio per tamponare la crisi del cinema decise di interpellare la Federcoop per dare un nuovo impulso alll'attività cinematografica.
Poco dopo nacque un comitato di gestione formato oltre che dalla Casa del Popolo, dalla Federcoop, dalla Cooperativa modellisti di Zola Predosa, dal Teatro Evento, e da Nuova Scena.
Compito di tale comitato fu quello di promuovere accanto alla tradizionale programmazione, una serie di spettacoli teatrali che fossero in grado di riportare al cinema la popolazione.
Sempre in quell'anno si decise di non portare il bar sulla via Emilia ma di affittare anche quest'ultimo locale.
Negli ultimi mesi prese vita un comitato di gestione saloni per utilizzare gli stessi più razionalmente e ammortizzare così la spesa sostenuta.
Per quanto riguarda il bar il consiglio decise per l'affitto, essendo diventata troppo onerosa una gestione diretta.
Il 1977 va ricordato anche per i fatti di Bologna: la morte dello studente LORUSSO suscitò profonda impressione: la manifestazione indetta in Piazza Maggiore per protestare contro la violenza ebbe una grandissima partecipazione popolare e lo stesso convegno indetto dai gruppi estermisti nell'autunno di quell'anno per protestare contro la politica "repressiva" del comune di Bologna si svolse senza incidenti a dimostrazione della maturità democratica dei cittadini bolognesi.
All'inizio del 1978 il Consiglio di amministrazione diede corso alle trattative col personale per l'affitto del bar.
Le stesse andarono a rilento per la differenza tra la somma da loro offerta e la richiesta della Cooperativa, richiesta formulata dopo attento esame della gestione bar da parte del Consiglio unitamente alla Coop Emilia-Veneto interpellata per un parere tecnico.
Vista la notevole divergenza di cui sopra il Consiglio decise di rivolgersi al mercato per vedere quanto offrivano i privati. Venne convocata una assemblea per spiegare ai soci la situazione e il consiglio prese pubblico impegno di sistemare il personale in altre aziende cooperative in caso di affitto a terzi.
Le trattative si conclusero nella tarda primavera e con l'insediamento del nuovo consiglio, il bar fu regolarmente affittato ai dipendenti.
Purtroppo per permette il pieno rispetto delle norme igieniche e di sicurezza furono affrontati dei costi notevolmente alti per sistemare il bar, costi che per due anni vanificarono gli effetti positivi dell'affitto.
Il nuovo consiglio insediatosi nella primavera di quell'anno iniziò il lavoro programmando fin dal suo insediamento le iniziative da farsi negli anni di durata della carica: del resto dopo l'affitto del bar il lavoro da svolgere nella Casa del Popolo assumeva un ruolo maggiormente politico rispetto a prima.
Si agì in due direzione:da un alto si lavorò per rendere produttiva la struttura della Casa del Popolo, dall'altro si tese a riqualificare la Cooperativa introducendosi pienamente nel dibattito politico in corso nel Paese e svilippando muove proposte per il tema libero.
La prima grossa questione da affrontare fu quella del cinema ormai già dato per spacciato, in quanto il comitato di gestione promosso l'anno prima insiema alla Federcoop era fallito e occorreva decidere sul da farsi.
I pareri all'interno del consiglio erano disparati: alcuni volevano affittarlo, altri chiuderlo, altri volevano utilizzarlo come sala da ballo, e infine altri volevano continuare la gestione sia pure in forme rivedute.
In un primo tempo si decise per l'affitto, ma di fronte alle offerte insufficienti a coprire l'ammortamento della sala si decise di soprassedere.
Durante l'estate furono organizzate alcune iniziative nel cinema per saggiare la disponibilità del pubblico e per far conoscere la sala fuori dal comune.
Ricordiamo qui brevemente l'esibizione di Giorgio Consolini e di Marino Piazza.
Dopo le ferie venne convocata l'assemblea dei soci per decidere cosa fare con il cinema, l'asseblea si pronunciò per la continuazione delle attività tenendo conto del fatto che in caso di affitto verrebbero meno le ragioni di esistere della stessa Casa del Popolo, mentre una chiusura a tempo indeterminato non avrebbe comportato nessuna riduzione dei costi.
In seguito a ciò il cinema riprese l'attivita in attesa di scelte più sicure.
Nel novembre di quell'anno il consiglio decise l'uscita del CREEC, e dopo ampie consultazioni con il personale si andò alla costituzione di un comitato di gestione con parte di esso, a partire dal 1-12-78, tutt'ora funzionante.
Per quanto riguarda i saloni si giunge a un accordo con un privato per la creazione di una scuola di ballo all'interno degli stessi, ci si accordò con i gruppi di caccia per gare di briscola autogestite e si continuaro le serate danzanti e la tombola.
L'anno successivo si andò a una revisione degli affitti per gli uffici.
Vi furono parecchie discussioni sull'entità delle cifre da pagare ma alla fine si giunse ad un accordo che permise alla Casa del Popolo di contare su entrate più congrue senza pesare troppo su partiti e associazioni.
L'ottica di riferimento del Consiglio Coop fu sempre, comunque, legata alla situazione politica Nazionale che in quegli anni vedeva il rapido deteriorarsi della politica di salvezza nazionale, con governi tenuti in piedi anche dall'astensionismo del PCI.
Il terrorismo incalzava raggiungendo apici di violenza estrema, come l'uccisione di Aldo Moro o l'assassionio dell'operaio G.Rossa, mentre parte del movimento di protesta giovanile e studentesco aveva imboccato la strada della risposta violenta alle istituzioni e del rifiuto delle scelte politiche per rinchiudersi in una visione privata di soddisfazione dei propri bisogni personali.
Gli effetti positivi ottenuti dalla politica di solidarietà nazionale in campo economico e di difesa dei redditi si andava vanificando contro una classe politica che mirava a mantenere inalterato il meccanismo e le strutture del potere clientelare e non poteva quindi concepire una entrata nell'area del governo delle forze di sinistra; la stessa politica sindacale definata all'EUR, che aveva limitato i costi dei rinnovi contrattuali, in appoggio a questa linea di salvezza nazionale ed in cambio di una nuova gestione politica del governo dell'econia, battè il passo provocando il nascere di lacerazioni profonde, di scontenti personali, di sfiducia verso le istruzioni ed i partiti in genere.
Ad Anzola intanto assumeva un aspetto preoccupante il rapporto con le giovani generazioni, quasi del tutto assenti alle iniziative ed al dibattito politico e culturale.
Nacque in questo periodo ad anzola un giornale curato da giovani di varie tendenze politiche: il "Fogliodi Anzola", che si occupava della realtà locale,ma,al pari di una precedente esperienza con la radio, questo giornale ebbe pochi mesi di vita e per gli stessi motivi fu costretto dopo pochi numeri chiudere.
La Coop Casa del Popolo tentò un collegamento attivo con le istanze di questo foglio ed alcuni limitatissimi risultati si ebbero, ma si vanificarono con la chiusura del giornale stesso.
Il problema del rapporto con le giovani generazioni fu una costante della attività del consiglio in carica in quegli anni, tanto che, conscio della gravità del problema, denunciò più volte la situazione richiamando le forze politiche locali ad una maggiore attenzione del problema, anche perchè non era solo locale ma rispecchiava una visione nazionale, non trovò e non ha tutt'ora una risposta positiva nella realtà di Anzola.
Dal canto suo la Casa del Popolo, dopo aver lavorato per risanare le gestioni, ha promosso numerose iniziative.
Costituì il C.I.T.A. (Centro iniziativa turistica Anzolese) gestito dalla Casa del Popolo in collaborazione con il CUCETS provinciale.
Tale centro dopo alcune iniziative e gite riuscite positivamente, ricordiamo anche l'accordo raggiunto per l'organizzazione delle settimane bianche ed i weekend sciistici nel Trentino, cadde di tono fino a sparire completamente a causa di un mancato rapporto con le altre strutture di massa anzolesi.
Si programmò inoltre una serie di concerti pubblici con cantanti e complessi come: Roberto Vecchioni, i Nomadi, Claudio Lolli, seguirono poi concerti rock,jazz, blues, e blues, e infine i New Trolls.
Tali concerti se dal punto di vista economico non portarono grandi entrate permisero però quell'aggancio con la realtà giovanile che ilconsiglio andava cercando.
Fu infatti in questo primo periodo di iniziativa che circa una quarantina di giovani si avvicinò alla Coop per creare un centro di ritrovo (discoteca) ad Anzola la domenica pomeriggio.
Il consiglio Coop appoggiò in pieno la nascita dell'iniziativa e definì un accordo economico con alcune radio private per l'uso dei dischi e degli impianti.
La cosa purtroppo non ebbe seguito in quanto la giovane età dei ragazzi non permettava l'uso della sala sotto forma di pagamento di biglietti di entrata o altro e la gestione atotale carico della Casa del Popolo era troppo onerosa.
In seguito si intervenne sulla programmazione cinematografica, da una parte migliorando la programmazione normale (ciò fu possibile grazie alla contrattazione diretta che il comitato di gestione faceva e fa tutt'ora con le case cinematografiche) dall'altra allargando l'interesse attorno al cinema a gruppi esterni alla Coop e dedicando una serata alla settimana a cicli d'essai, procedendo per gruppi di argomenti.Tra i temi trattati ricordiamo: la violenza, il militarismo, la fantascienza, il comico, la problematica femminile, l'Horror.
L'interesse seppure a fasi alterne della iniziativa ci ha portati quest'anno ad aprire il cinema per 2 sere la settimana per cicli d'essai.
Ma la Casa del Popolo si è fatta notare in questi ultimi anni anche per altre iniziative.
Vogliamo brevemente ricordare i dibattiti sulla situazione politica, sull'energia per la difesa dell'ambiente, sulla droga, sulla violenza nella scuola e nella famiglia, e più recentemente sul terremoto e sul ruolo delsindacato nella società.
Rapporti significativi si sono creati anche con la Federcoop ed in aprticolare col settore culturale della Cooperativa (vale la pena ricordare che la Casa del Popolo ha partecipato attivamente alla creazione dell'A.E.R.C.C - Associazione emiliano-romagnola cooperative culturali e che con i suoi più di 1000 soci copre il 50% degli associati); rapporti che hanno portato la presidenza della Federcoop ad impegnarsi attivamente nel tentativo di sanare la situazione finanziaria della Casa del Popolo e che ci hanno permesso di rivedere lo statuto della nostra Cooperativa per renderlo più rispondente alle necessità del momento.
Fu convocata una apposita assemblea per questa revisione ed a tale assemblea si portò anche la richiesta di aumento delle quote sociali da L.500 a L.5000.
La relazione del Consiglio che poneva queste richieste riallacciandosi alla storia della Casa del Popolo e alla volontà di essere struttura viva fu accolta entusiasticamente dall'assemblea tanto che già con i soli versamenti di quella serata fu possibile raggiungere il livello economico delle vecchie quote.
Nonostante questi interventi per rendere produttiva la struttura, le difficoltà della Casa del Popolo erano sempre notevoli tant'è vero che in questi ultimi 2 anni si liquidarono definitivamente i restanti negozia di Via Schiavina. Lo scorso anno su spinta determinante della Casa del Popolo enel tentativo di unificare le proposte sociali e culturali della Cooperazione si è costituito il Centro Intercooperativo di Zona con sede ad Anzola cui aderirono tutte le cooperative che operano nei comuni vicini
Una cosa estremamente positiva è stato anche il tentativo di creare una festa della COOPERAZIONE. Questo è avvenuto al termine della Festa dell'Unità di Anzola, utilizzando le strutture già montate si è potuto dedicare una serata alla COOPERAZIONE.I risultati sono stati molto positivi, sia per la partecipazione che per le idee messe in campo (mostre di cooperative, spettacoli giovani).
In questi ultimi anni si è fatta anche una programmazione teatrale in collaborazione con le scuole e l'Ente Locale riuscendo a portare ad Anzola compagnie teatrali a livello nazionale ed internazionale.
Sempre lo scorso anno il consiglio si è posto il problema di rivedere l'affitto bar, ritenuto insufficiente.
Allo scadere dei 2 anni di gestione si andò a un concorso pubblico, per vagliare le domande si formò una commissione aperta anche a soci non facenti parte del Consiglio e si andò ad una assemblea dei soci, la quale con voto unanime approvò le scelte della Commissione.
Si eseguirono anche opere di riammodernamento delle strutture, risanando tutta la parte interna della Cooperativa, pavimentando le terrazze e creando in collaborazione con il PCI una nuova sala riunioni chiamata "SALA ROSSA".
Si intervenne anche sulle attrezzature cambiando completamente i biliardi per renderli funzionali e più attraenti anche per gare.
Con le modifiche allo statuto la Coop, prese il nome attuale di "COOP CASA DEL POPOLO" e tende a configurarsi un ruolo d'intervento preciso proprio nel settore culturale e sociale. Anche il Consiglio Coop in questi ultimi 3 anni ha subito parecchie variazioni, ampliandosi e aprendosi a nuove forze politiche che ne hanno portato nuova vitalità e una struttura democratica più ampia.
Una grande soddisfazione per il Consiglio fu quando presentò all'assemblea generale il bilancio per l'anno 1979: i risultati positivi ottenuti, la drastica riduzione de passivo, le attività promosse furono riconosciute come valide e da potenziare per mantenere vive le nostre trutture.
Alcune considerazioni sul Comune di Anzola nello sviluppo industriale
L'Emilia-Romagna è stata caratterizzata negli ultimi venti annia da un rapido processo di industrializzazione, tale processo affonda le sue radici fin nel momento dell'Unità Nazionale, quando la terra era il bene di produzione su cui poteva unificarsi un rapido processo di sviluppo capitalistico.
Infatti l'economia capitalistica si affermò nell'azienda agraria, dove l'accumulazione era resa possibile dallo sfruttamento del lavoro bracciantile e contadino (non è un caso infatti che l'origine del movimento Socialista scaturisca appunto dalle campagne). Questa struttura agrario-capitalistica determinò: da una parte, la nascita del sistema bancario a esso funzionante, il quale agì come sede di prestiti alle proprietà patrimoniali; dall'altra utilizzò la spesa pubblica (in particolare durante il periodo fascista) per potenziare e sostenere le aziende, con opere pubbliche e di bonifica.
A seguito di questa condizione produttiva, e in forza della posizione geografica assunto dall'Emilia e in particolare Bologna prese avvio la industria emiliana.
L'industria di più antica tradizione fu quella legata, logicamente alla trasformazione di prodotti agricoli, alimentari, seguono la nascita delle prime industrie tessili e meccaniche a cui subentrarono inseguito industrie diverse, quali, ceramiche,abbigliamento, calzature, meccaniche, tessili e del legno.
Queste prime industrie trovarono un valido terreno di sviluppo in Emilia, che assunse aspetti di forte tenuta nei periodi più vivi di crisi nazionale su tre fattori principali:
- Lavoro; la coscienza e la forza di lotta sociale e politica dei lavoratori;
- Economia pubblica locale; la democrazia e l'efficienza delle amministrazioni locali;
- Impresa; la capacità imprenditoriale degli operatori economici.
Fattori che hanno potuto integrarsi positivamente in quanto sia pure in modi diversi facevano tutti riferimento alla domanda interna determinando la consistenza e l'espansione della rete regionale e locale delle imprese produttive, dei servizi artigianali, di quelle contadine, delle cooperative piccole e medie.
Questa impostazione non fu però priva di squilibri ed errori; determinati in prima misura dalle entità dello scontro economico che si giocava e si gioca tra economia nazionale ed emiliana, o meglio, dal tentativo sempre portato avanti dalle forze capitalistiche e di governo antipopolare che volevano schiacciare l'esempio emiliano. A questi tentativi si è sempre risposto con coerenza e con una tradizione di lotta che mai si è arresa alle richieste che venivano dall'alto, pur subendone gli effetti negativi.
E' il caso per esempio di alcuni momenti fondamentali:
- attorno al 1960, quando si sono smobilitati interi settori produttivi, assieme alla zootecnia, gli operai licenziati, i migliori, i più combattivi hanno rivolto la propria capacità all'impresa facendo nascere moltissime ditte artigiane e piccole imprese che producevano beni da vendere per un mercato che quegli ex operai conoscevano e volevano sviluppare. Da qui nascerà poi e si svilupperà un sottoprocesso economico che ha ivestito in pieno Anzola: il lavoro a domicilio;
- altro momento fu quando con la politica dei poli di sviluppo economico si puntò a creare isole di operai privilegiati o con la politica della parziale riforma agraria si tentava di dividere il movimento contadino; qui le risposte furono più incerte in quanto l'asse di sviluppo non poteva essere che la Via Emilia ed Anzola non potè che entrare in questa fase.
Infatti Anzola Emilia, pur avendo un territorio che si trova al limite della pianura Padana, ai piedi delle prime alture appenniniche, distribuito in un dislivello di circa 20m., prevalentemente pianeggiante e quindi idoneo per l'agricoltura (come altre aree territoriali facenti parte dell'Hinterland bolognese) subì in pieno il processo di industrializzazione: con la creazione rapida e selvaggia ai bordi della Via Emilia di piccole e medie industrie e come punto di sistemazione di lavoratori che gravitano su Bologna.
Questa industrializzazione ha portato come effetto immediato, la riduzione delle superfici destinate ad agricoltura, l'inurbamento (la popolazione sparsa si è ridotta in questi anni di circa il 60%, con aumento della popolazione nel centro abitato di circa il 300%), l'esodo quindi dalle campagne e il concentramento nell'area di Anzola di una popolazione di origine prevalentemente migratoria (a conferma di ciò basti citare un andagine del 1975 in cui su 163 famiglie censite solo 37 sono originarie di Anzola), accentuando così la concezione di un assetto territoriale imperniato su una subordinazione della campagna alla città.
Su questi problemi le amministrazioni succedutesi alla guida dell'Ente locale, amministrazioni sempre con maggioranza comunista e socialista, hanno tentato di intervenire per modificare in positivo i problemi che questa industrializzazione poneva.
Le organizzazioni politiche e culturali (tra cui la nostra Cooperativa) guidando le lotte che si tenevano in questi anni e cercando di creare sul paese un tessuto di rappporti, e di partecipazione volto sia alla vita politica, culturale che nella creazione di momenti ricreativi.
Anzola poi, come l'Emilia, individua la caratteristica principale del suo sviluppo industriale essenzialmente nell'espansione concentrata di un tessuto economico di piccole e medie imprese ed aziende artigiane a cui si sono collegate (come ripreso in altra parte del libro) esperienze originali di partecipazione ed autogestione sia nell'impresa produttiva, sia nel settore del commercio, che nel terziario e nei servizi:
le esperienze delle cooperative (o della cooperazione) che rappresentano lo strumento principale per lo sviluppo di nuove forme di imprenditorialità.
Queste caratteristiche, legate ai problemi di cui abbiamo parlato sin qui, rendono ilpaese di Anzola una realtà che vive in pieno sia i lati negativi, sia quelli positivi dello sviluppo economico.
Da un lato una piena occupazione e forme di imprenditorialità originarie e di associazionismo attivo, dall'altro i riflessi negativi che in generale si accompagnano a queste situazioni.
Quindi i problemi che si devono affrontare e che dovranno essere interni all'ottica degli anni 80 saranno gli stessi che verranno affrontati dalle grandi città, dalle grandi concentrazioni.
Ad Anzola, però bisognerà lottare con forza per non dimenticare il nostro passato e non soffocare la nostra identità politica-sociale-culturale .
Con la forza del passato per un nuovo futuro.
Concludendo questa breve storia, che vuole essere solo una carrellata sommaria sugli avvenimenti accaduti in questi ultimi 20 anni, noi crediamo necessario invitare i soci e i cittadini ad un dibattito sul futuro della Casa del Popolo.
Nel momento attuale l'Italia sta vivendo una crisi preoccupante che a nostro avviso deve impensierire ogni sincero democratico.
si tratta infatti di una crisi non solo economica, ma sociale, politica e morale.
La persistenza del fenomeno terroristico, il venir meno dei governi di unità nazionele, la crisi dei valori che regolano la convivenza civile, la mancanza di tensione partecipativa e creative, l'isolamento generazionale, sono problemi che devono essere superati, penail decadimento della intera società italiana.
Nè d'altra parte la situazione internazionale è migliore, l'emergenza del 3°mondo,l'inasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica, il riarmo da parte degli Stati Uniti, la polveriera sempre aperta del Medio Oriente stanno ad indicare come ancora si sia lontani da una vera pace e da valori di cooperazione internazionale.
Noi vogliamo concludere questa breve storia invitando i soci ed i cittadini tutti ad essere più vicini alla Casa del Popolo affinchè essa possa superare le difficoltà attuali e non venga vanificato il sacrificio di chi, molti anni fa in mezzo adifficoltà di ogni genere ne gettò le fondamenta.
Sono passati 70 anni, molte cose appartengono al passato, ma le idee che sono state accese in quel lontano Giugno sono ancora vive e lo stesso spirito che animava i primi soci non è andato perduto. Gli uomini che firmarono l'atto costitutivo della Cooperativa furono sempre uniti nella fede e nei propositi, furono ostinati nella tutela dei propri diritti, furono spinto da un solo pensiero: scuotere l'animo dei cittadini e mirare al benessere collettivo.
Oggi più che mai queste volontà ed indicazioni sono degne di essere rivissute. Coloro che cercano uno stimolo di azione quardino a questi uomini e chiedano al loro cuore.
Ad essi, pionieri di una benefica lotta, vada il nostro pensiero con l'assicurazione che in tutti i soci è profondamente vivo l'impegno di continuare così come essi hanno voluto e indicato.
Saluto del Consiglio Coop Casa del Popolo in occasione della celebrazione del 70° Coop
...Che questa cooperativa non naviga nell'oro, credo sia una questione ormai nota, che ci siamo trovati in momenti veramente critici, con il rischio di chiudere anche buona parte delle nostre strutture, è un altro problema conosciuto, che tutta la nostra attività è sempre sospesa al filo del bilancio economico sono dati di fatto indiscutibili; ma contro questa situazione credo che possiamo qui affermare tranquillamente si è mossa tutta una serie di intrventi da parte del Consiglio di Amministrazione, il quale, nella sua azione, ha posto come presupposto politico ed economico la convinzione che questa Cooperativa doveva vivere, che comunque era necessario, di fronte a qualunque difficoltà trovare la strada per farla vivre.
In questo senso ritengo vada colta positivamente la posizione assunta dal Consiglio, di operare cioè per abbandonare ogni atteggiamento passivo e rinunciatorio, di superare i limiti economici, di porsi nell'ottica di avere un problema e trovare comunque (anche a prezzo di sacrifici personali o di scelte difficili ed antipatiche) i mezzi ed i modi per superarlo.
Diciamo subito che l'interesse e l'appoggio che i soci della Cooperativa e le forze politiche di Anzola hanno dato a questi tentativi hanno aiutato di molto le scelte e le loro attuazioni pratiche.
Crediamo che possiamo affermare che oggi come oggi la Coop Casa del Popolo di Anzola è una forza attiva, anche politicamente, non dico solo sul paese di Anzola, ma su buona parte del territorio della Provincia di Bologna e che come tale ha riconquistato un ruolo attivo nell'intervento sociale e politico che era la promessa su cui i nostri soci hanno posto le basi per fondare questa cooperativa.
A questo proposito cooperatori,mi sia anche permesso rispondere ad una polemica nata nel paese, che vuole la nostra cooperativa in una posizione neutra, in un intervento burocratico slegato da concezioni politiche di rinnovamento di fondo.
Cooperatori, cittadini, questa cooperativa, la cooperativa Casa del Popolo non ha un colore neutro, non si nasconde dietro a sigle sconosciute o mistificanti per far passare le proprie idee: questa cooperativa è una cooperativa rossa, come rosse erano le bandiere dei socialisti ed in seguito dei comunisti che la fondarono e lottarorno per mantenerla viva; come rossa è la bandiera di chi lotta, non per mantenere le situazioni come stanno, non per sopravvivere allameno peggio, ma per modificare e cambiare radicalmente la nostra società; la nostra cooperativa è al fianco e guida ancora le lotte dei lavoratori, delle loro rappresentanze politiche che combattono sì, piccole lotte, a lenti passi forse, ma nell'ottica e nell'obbiettivo di rendere a questa società sempre più democratica ed infine sempre più vicina alle idee di rinnovamento espresse dal movimento socialista già nel suo nascere; per vedere realizzata in fondo una società socialista in cui lestrutture ed i rapporti di classe, l'uomo, non siano biechi strumenti in mano a pochi, ma ampio patrimonio di chi, si arroga il diritto di decidere, in quanto lavora e produce permantenere viva la società.
Questo non vuol dire però che ci poniamo in una posizione di chiusura e di isolamento verso altre forze ed altre idee (il nostro è uno dei pochi consigli formato anche da consiglieri che si richiamano all'area cattolica), altre forze ed altre idee con cui cerchiamo invece con convinzione un confronto sereno e duraturo.
Vuol dire invece che abbiamo ben presente, sempre, che il nostro modo di essere,di vivere, di lottare, di credere è riferito agli ideali di trasformazione di cui parlavo prima e che i rapporti da far valere non sono quelli della lotta del più forte, del clientelismo, dell'arrivismo, ma anzi, dell'aiuto reciproco, della collaborazione, del rapporto umano, dello slancio singolo e collettivo per superare insieme problemi che da soli sembrano infiniti, per creare un modo di vivere che sia rispetto reciproco, per creare delle strutture in cui le tue, le mie esigenze si possano trovare, confrontare per creare insieme qualche cosa di nuovo di originale di più avanzato e proteso verso una società dove i rapporti di solidarietà e cooperazione siano al primo posto.
Quanti altri possano dire con sicurezza quello che diciamo noi non posso saperlo e non spetta me saperlo, noi diciamo che nessuna ragione di esistere avrebbe oggi questa cooperativa se non fosse strettamente agganciata alle tradizioni, alle lotte del movimento operaio e contadino, che primo, fra tutte le iniziative pensò di concretizzare una casa del popolo ad Anzola, come centro di iniziativa pensò di cultura, di ritrovo, di svagoper tutti i cittadini di Anzola.
Questo consiglio, soci e cooperatori,non si presenta però a questa assemblea in tono trionfalistico, ma anzi è qui per mettere in discussione le proprie scelte e anche il proprio operato, proprio perchè crediamo (ed è nostra ferma intenzione che questa opinione diventi patrimonio comune) che solodove esiste il confronto, dove esiste la capacità di individuare i problemi, di evidenziare gli aspetti negativi, di confrontarsi con forza e serenità, esistono anche le condizioni perchè i patrimoni dell'uno diventino di tutti, e perchè le cose vadano avanti verso un sempre crescente sviluppo positivo e perchè queste cose diventino sempre più cose di tutti, di tutti i cittadini, di tutti i cooperatori, di tutte le collettività.
Grazie.
Anzola Emilia, 10.3.1981
Il presidente
(ROBERTO TEDESCHI)
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